Appuntamento fissato a Minsk nella giornata di mercoledì 11 febbraio. Obiettivo? Cercare di riportare le parti al tavolo delle trattative, dopo che gli accordi firmati nel settembre scorso non hanno avuto gli effetti sperati: la crisi in Ucraina, che dall’aprile 2014 ha causato oltre cinquemila vittime, invece di spegnersi gradualmente si è pericolosamente riaccesa e continua a crescere d’intensità.
Il rischio di oltrepassare una soglia oltre la quale non sarà più possibile tornare indietro ha spinto i leader di Francia e Germania a chiedere un nuovo incontro con Mosca e Kiev. Tuttavia, come sostenuto dal Segretario agli Affari Esteri britannico Philip Hammond, non si può nemmeno parlare di un Minsk Plus dal momento che non esiste un testo pronto a essere firmato . Nella capitale bielorussa sarà proposto un pacchetto di misure per arginare la crisi e si cercherà di trovare un’intesa fondamentale che possa poi portare alla firma di un nuovo e definitivo accordo.
26 gennaio 2015. Sono passati nove mesi e undici giorni da quando, il 15 aprile 2014, il presidente ucraino ad interim Oleksandr Turčynov annunciò l’inizio di una operazione di antiterrorismo volta “a proteggere i cittadini ucraini, a fermare il terrore, a fermare il crimine e a fermare i tentativi di fare a pezzi il nostro paese [l’Ucraina N.d.R.]”[1]. Chiunque si aspettasse una campagna veloce e indolore si sbagliava.
Aprile-giugno 2014. Le forze ucraine concentrano inizialmente la loro attenzione su Donetsk. Poi, il 22 aprile, un’operazione militare viene lanciata nell’Ucraina orientale per riprendere controllo delle altre aree occupate dai separatisti. I combattimenti più violenti si registrano nei pressi delle città di Sloviansk, Lugansk, e Donetsk.
Luglio 2014. L’esercito mandato da Kiev riesce a riprendere controllo di Sloviansk mentre i separatisti abbandonano la città e le posizioni circostanti (5 luglio). Fino alla fine del mese, l’esercito e i paramilitari filorussi continuano ad affrontarsi principalmente presso Donetsk e Lugansk. Secondo il Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa ucraino (CNSD), questi ultimi si trovano in difficoltà e sembrano perdere lentamente terreno sia attorno a Donetsk sia nella parte meridionale dell’Oblast di Lugansk.
Agosto 2014. L’esercito ucraino riesce progressivamente ad avanzare, vicino a Donetsk, su buona parte del territorio occupato dai separatisti. Allo stesso tempo però, proprio le forze filorusse riescono a prendere controllo di una sezione del confine con la Russia nei pressi di Lugansk e a porre una testa di ponte nell’Ucraina meridionale nei pressi della citta di Novoazovsk.
Nuovi sviluppi nella disputa tra Mosca e Kiev circa gli approvvigionamenti di gas naturale: la compagnia russa Gazprom riapre il flusso verso Ucraina ed Europa in virtù di un accordo trilaterale firmato dalle parti (Ucraina, Russia e Unione Europea) giovedì 31 ottobre.
Nonostante la tregua in atto tra Cremlino ed Ucraina gli Stati Uniti e la UE impongono pesantissime sanzioni a Putin. Questa volta sono stati colpiti gli interessi di tutti i più stretti collaboratori del premier russo che oltre ad essere gli oligarchi che gestiscono quasi tutte le risorse del paese hanno anche incarichi politici di peso. L'economia russa si fonda infatti su di una metodologia post capitalista in cui i politici sono anche imprenditori e manager, sovrapponendo i propri interessi a quelli del partito, gestendo in questo modo con maggiore velocità, le scelte strategiche senza alcuna opposizione sia interna che esterna, in buona sostanza una sorta di monarchia economica.
Dai varchi di frontiera ancora controllati dai filorussi sono passati nei giorni scorsi blindati carri armati e uomini (non ne riferiamo con esattezza il numero perché sarebbe certamente inesatto) si stimano però - da fonti confidenziali - approssimativamente 150 blindati per trasporto truppa, una trentina di carri armati e 1200 uomini.
L’obiettivo del presente articolo è quello di fornire un quadro di riferimento e di analisi circa:
- l’attuale crisi in Iraq (paragrafo 2),
- la questione legata allo sviluppo nucleare iraniano (paragrafo 3),
- l’attuale crisi in Ucraina (paragrafo 4).
L’Ucraina sembra sull’orlo del baratro. È questa l’immagine che emerge dopo gli eventi degli ultimi due giorni. Giovedì ha avuto luogo l’ennesima “offensiva” separatista che ha visto miliziani filorussi occupare gli uffici della procura di Donetsk. Il giorno dopo Kiev ha fatto la sua mossa lanciando un’operazione su larga scala per riprendere possesso di Sloviansk, città del distretto di cui Donetsk è capoluogo finita sotto il controllo delle forze separatiste dai primi di aprile e dove si dice fossero tenuti prigionieri gli osservatori dell’OSCE[1]. Mentre l’esercito circondava la città e tentava una difficile avanzata (rallentata peraltro dalla stessa popolazione civile), sono scoppiati i primi scontri a Odessa tra le fazioni pro e contro Kiev: il bilancio momentaneo è di 42 morti e 125 feriti[2].
Il ruolo della Russia negli affari internazionali è diminuito, almeno temporaneamente, Mosca è stata de facto esclusa dal gruppo delle 8 potenze industrializzate.
Il tentativo del presidente Vladimir Putin di utilizzare il gruppo BRICS le potenze emergenti al fine di mitigare l’isolamento imposto dall’occidente è fallito a causa delle controversie con Cina e India circa il Tibet e il Kashmir.
La crisi in Crimea chiama in causa due fondamentali norme di diritto internazionale. La prima è conosciuta come “principio di autodeterminazione dei popoli” e afferma che ogni popolo ha il diritto di scegliere autonomamente il proprio regime politico ricorrendo, ad esempio, all’indipendenza o all’associazione a un altro stato. La seconda è chiamata “sovranità territoriale”: secondo tale norma ogni stato mantiene il controllo all’interno dei suoi confini e s’incorre in una sua violazione ogniqualvolta possa essere provata la presenza fisica e non autorizzata di un organo straniero sul suo territorio.