Se si produce un esame poli-analitico dell’Africa, si constata che essa è un continente che, pur avendo statisticamente numeri notevoli, sarà destinato ad essere un’espressione geografica, nel senso che sullo scacchiere planetario il suo ruolo geopolitico non può che essere marginale o, quantomeno, secondario e subalterno.
Per avere un’idea precisa dell’assoluto valore statistico dei numeri che l’Africa possiede, possiamo parametrare alcuni di essi con quelli analoghi della Cina; ebbene, secondo i rilevamenti effettuati nel 2012 su una superficie di 30.221.000 km² l’Africa vede risiedere una popolazione di 1.020.201.229 abitanti, mentre per gli stessi elementi statistici si registra che la Cina 3,15 volte più piccola dell’Africa, secondo i dati del 2011, vede risiedere sul suo territorio vasto 9.572.900 km² 1.336.718.015 abitanti; determinando una densità della popolazione per chilometro quadrato di 137 abitanti contro i 33,76 dell’Africa. Tenuto conto di questi dati, l’Africa, teoricamente, potrebbe assurgere a soggetto geopolitico di prim’ordine, ma nella realtà odierna e in quella futura, così non è non sarà; salvo, per ora impensabili mutazioni culturali e politiche.
Un dato va subito messo in evidenza, le maggiori potenze mondiali che operano sul continente sono: gli USA, parte dell’Europa con Inghilterra, Francia, Germania, Italia e Portogallo; la Russia, la Cina e il Giappone. Ciascuno di questi Stati con tassi di coinvolgimento d’interessi diversi e con una finalità strategica palese: ancor prima di avviare lo sfruttamento delle risorse esistenti sui propri territori, cercano di effettuare, a condizioni possibilmente favorevoli, l’approvvigionamento di quanto sia necessario per le loro economie.
Ad eccezione degli Stati sahariani, pur non sapendo con precisione cosa nasconda nel suo sottosuolo questo vasto territorio desertico, e senza specificare gli Stati salvo qualche eccezione come il Niger ricco di uranio, dalla superficie del territorio si ottengono quasi tutti i prodotti agricoli quali: agrumi, arachidi, avena, ananas, banane, cocco, cassava, canna da zucchero, caffè, cotone, corteccia di china, cacao, copra, caucciù, datteri, frumento, gomma, yam (specie di patata), legumi, legni pregiati e legname, mais, miglio, noci, olive, papiro, patate, riso, sesamo, sorgo, soia, tè e uva; a queste attività vanno aggiunte quelle relative all’allevamento di bovini e ovini, e nei paesi del nord quello dei dromedari, nonché la pesca sia sui grandi laghi che nei mari per i paesi rivieraschi.
Il sottosuolo è ricco e sono diffuse le miniere di piombo, argento, carbone, cobalto, manganese, antimonio, diamanti, nichel, bauxite, oro, rame, ferro, fosfati, cromo, zinco, tungsteno, mica, cassiterite (da cui si estrae lo stagno), columbite, tantalite, berillio, ematite, magnetite e gas naturale. Inoltre, se si fa un pensiero attento all’utilizzazione in molti apparecchi tecnologici, come i superconduttori magneti catalizzatori componenti dei veicoli ibridi, le applicazioni di optoelettronica come ad esempio i laser neodimio-yag (Nd-Yag), le fibre ottiche (erbio), i risonatori a microonde ( le sfere di YIG, ovvero Yttrium Iron Garnet ovvero Ittrio ferro granato); i depositi naturali delle cosiddette terre rare attraggono e stimolano i famelici appetiti delle potenze mondiali e costituiscono ulteriore motivo di indagine e di analisi geopolitica.
Solo perché è evidente, non va trascurato che nel Niger l’estrazione e la commercializzazione dell’uranio è affidata alla multinazionale francese AREVA, mentre il Ghana ha concesso le licenze di vendita oltremare di petrolio alla GAZPROM; inoltre, sempre a quest’ultima, la Ghana National Petroleum Company ha anche concesso la raffinazione e la vendita delle risorse petrolifere scoperte al largo della costa ghanese. Fatta eccezione per alcuni Stati, come il Sud Africa, la maggior parte delle realtà statuali dell’Africa sono improntate alla forma repubblicana, ma tutte affette da autocrazia cronica. Proprio questo assetto produce una permanente instabilità politica con ricorrenti situazioni di rivolte, insurrezioni e disordini di carattere politico e sociale; ed una sostanziale permanenza di distrazione delle risorse dagli investimenti che ogni Stato degno di questo nome indirizza verso i settori della società che possono favorire il consolidarsi delle strutture democratiche. Su questo particolare aspetto occorre registrare che la sanità e l’istruzione, nella maggior parte degli Stati africani, versano nelle condizioni che nella prevalenza dei casi oltrepassano il limite dell’accettabile. La precarietà politica delle realtà statuali combinata alle mai superate rivalità tribali, pongono un limite invalicabile all’intero continente per l’affermazione, per la maturazione e il consolidamento di una consapevolezza politico-culturale, tale da dare all’Africa una voce di peso mondiale, non subalterna, ma protagonista sul proscenio della politica internazionale. Gli effetti di questa particolare ed involuta condizione politica si avvertono su due versanti implicitamente connessi, uno è quello che registra un alto tasso di corruzione delle classi politiche al potere e l’altro è quello che annota una svendita dei beni prodotti dal suolo e dal sottosuolo. Per completare il quadro analitico va detto che tutti gli Stati africani sono condizionati da un forte debito statale con l’estero. Senza la valutazione di questi presupposti si rischia di dare una errata interpretazione a tutti i fenomeni di turbolenza che sono a volte di natura religiosa, si pensi alle primavere arabe, oppure agli scontri tribali si pensi al Ruanda, oppure ancora di terrorismo assoluto con false motivazioni religiose, se si pensa al sud Sudan o alle stragi di cristiani cattolici in Nigeria. Va, altresì, valutato nel suo valore complessivo, l’assenza di una consapevolezza politica tesa all’affermazione di una corrente di pensiero basata su un panafricanismo che, pur tenendo conto delle oggettive distinzioni prodotte dalle particolari condizioni di alcuni Stati, sul piano sostanziale tutti o quasi tutti marciano verso una condivisa direzione. Con questi presupposti analiticamente calcolati, risulta difficile addebitare i fenomeni di fanatismo religioso, gli scontri tribali, le aggressioni terroristiche e alcune guerre fra Stati a motivazioni di natura endogena; essi piuttosto sono scientificamente fomentati e provocati dall’esterno attraverso organizzazioni terroristiche come Al qaida, il GICM gruppo islamico dei combattenti marocchini, l’M-23 il movimento di combattenti nominato marzo 23 operante in Congo, con lo scopo di creare una occorrente destabilizzazione, per realizzare le condizioni più agevoli finalizzate al perseguimento di precisi obiettivi economici. Giunti a questo punto l’analisi sarebbe lacunosa e omissiva se non valutasse i poteri finanziari, i cui perversi meccanismi operativi ( i derivati, le opzioni ecc.) che prevedono investimenti, ma data la natura del meccanismo finanziario, sarebbe più appropriato parlare di scommesse sul valore dei beni economici, tecnicamente denominati sottostante.
Nessuna analisi geopolitica può prescindere da alcuni di questi elementi di valutazione, e si commetterebbe un madornale errore se ci si soffermasse a prendere in considerazione alcune maschere dei poteri finanziari come la massoneria o quant’altro. La finanza va analizzata, per quello che è diventata dall’inizio dell’era globalizzata, ovvero un’entità a sé stante capace di influenzare e tenere al guinzaglio altri soggetti che concorrono al fluire degli eventi nel mondo.
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