La Turchia, a differenza dei competitors internazionali, conta su una vasta rete di organizzazioni religiose e umanitarie di chiaro stampo islamista e soprattutto connesse alla Fratellanza Musulmana. Tramite queste organizzazioni, che gestiscono centri culturali, moschee, scuole coraniche e ONG, la Turchia si pone in una posizione di forte vantaggio, rappresentando un fattore di pressione verso i governi locali e un punto di riferimento per le comunità musulmane dell’area del Mediterraneo.
L’ingerenza turca in Libia si profila quindi come l’apice di questa strategia. Ankara, pienamente consapevole dell’importanza della stabilità politica, energetica e economica della Libia per i paesi del Mediterraneo, sta assumendo il ruolo di protagonista assoluta nella gestione della sicurezza e delle politiche energetiche dell’area. Se negli ultimi anni le politiche migratorie turche, che hanno funzionato da filtro per l’Europa, ha permesso ad Ankara di prendere una deriva autoritaria e conservatrice senza precedenti - con attacchi continui ai diritti umani e alle libertà fondamentali - la posizione assunta dalla Turchia in Libia permetterà a Ankara di tenere le potenze europee in una condizione di ricatto perenne. L’immobilismo europeo di fronte a tale minaccia, perché di minaccia si tratta, è un elemento di forte preoccupazione. Se la Turchia dovesse continuare a imporre le proprie ambizioni di conquista in tutto il Mediterraneo, l’Europa si troverebbe a dipendere da Ankara sotto il punto di vista energetico, di sicurezza e dal punto di vista finanziario: uno scenario che l’Europa non può permettersi.