Per ciò che concerne la conferenza di Berlino, che ha visto la partecipazione di numerosi Stati e organizzazioni internazionali, la situazione libica non sembra pervenuta ad una svolta. Oltre all’accordo di facciata, in parte predefinito a Mosca e le scenografie diplomatiche, la conferenza ha comunque fatto chiarezza su alcuni punti.
Innanzitutto la consapevolezza che l’Italia abbia ormai perso la centralità nel Mediterraneo. Diversamente avremmo assistito alla “Conferenza di Roma” ed invece scopriamo che la Germania, che finora ha tenuto un basso profilo sulla politica mediterranea, ha un interesse sull’evoluzione della situazione in nord Africa e colma il vuoto diplomatico e politico lasciato dal nostro Paese.
La seconda riflessione pone alla ribalta la rinnovata politica estera della Turchia, che si è guadagnata, insieme alla Russia, un ruolo centrale per una soluzione diplomatica della crisi libica. Due Paesi che più di ogni altro hanno accresciuto la propria influenza in Libia, a discapito dell’Italia.
Mai come oggi la Turchia, considerata una potenza di medio “cabotaggio”, è stata così onnipresente. La si ritrova protagonista in ogni situazione critica nel bacino del Mediterraneo o in Medio Oriente. Prima in Siria, a seguire in Libia e poi sul fronte della gestione dei rifugiati: la politica estera turca si sta muovendo su più ambiti, quelli più caldi, con un solo obiettivo: costruirsi una centralità ineludibile nello scacchiere mediterraneo e medio orientale.
La Turchia accarezza in pratica il sogno-progetto di tornare agli splendori del periodo imperiale. Una linea politica chiara e perseguita con disinvolta perseveranza.
Influenzare le sorti della Libia, a suo tempo parte dell’Impero ottomano prima di diventare colonia italiana e tutto il Mediterraneo rientra a pieno titolo nel programma governativo. L’avvio di questo progetto è rappresentato dall’accordo libico-turco sui confini marittimi, osteggiato da Grecia, Egitto e Cipro, e che in pratica divide in due il Mediterraneo.
Con questo patto la Turchia si garantisce l’utilizzo dei gasdotti che rientrano in un quadrante marittimo posto fra le coste del Nord Africa e quelle della Turchia. Recep Tayyip Erdoğan cerca così di rendersi energicamente indipendente dalla amica-nemica Russia, che sta già arrivando in Turchia con Gazprom.
Il sostegno turco ad Al Sarraj è incentrato essenzialmente sulla protezione dell’accordo commerciale. Che il petrolio sia centrale nella vicenda è evidenziato anche dalle azioni di Haftar che prima della conferenza di Berlino ha chiuso i pozzi della Cirenaica, per lanciare un messaggio preciso alla Turchia: “finché i turchi sono in Libia niente petrolio”. Malgrado l’ultimatum non pare tuttavia che i turchi si siano scomposti più di tanto.
Nel Mediterraneo orientale, poi le navi battenti bandiera turca, Barbaros, Fatih, Yavuz, Oruç e Reis sorvegliano le trivellazioni a largo di Cipro.
La stessa Unione Europea e non da sola si è detta preoccupata per le possibili ripercussioni internazionali della vicenda, ma non pare che ciò impensierisca Ankara, che prosegue trivellazioni ed ricerche.
Un altro fronte aperto, che interessa da vicino anche l’Europa, è quello dei rifugiati siriani ospitati in territorio turco. Erdoğan si è recato a Berlino anche per chiedere all’Unione Europea di mantenere fede agli accordi e finanziare il proprio governo per la gestione dell’annosa questione.
Il leader turco ha proposto la creazione di una zona cuscinetto in territorio siriano in cui i rifugiati possano vivere provvisoriamente.
Sulla gestione umanitaria del flusso dei rifugiati la Turchia è nuovamente in una posizione di forza nei confronti dell’UE, che appare divisa, non univoca ed inefficace su molti fronti: primo fra tutti la politica estera.
La Turchia è ben conscia delle difficoltà europee e su questo fa abilmente leva per raggiungere i suoi obiettivi. La domanda che in molte capitali si pongono è: fino a dove e fino a quando?
Emanuela Locci – PhD di Storia e Istituzioni di Asia e Africa presso il Dipartimento storico politico e internazionale della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Cagliari
Fonte: https://www.groi.eu/bl1pv
Un’autentica mina vagante nel Mediterrano: questa è la Turchia di Erdogan che, fra le varie cose, ha nostalgia di allungare le mani sulla Libia che gli fu strappata nel 1911 dal Regno d’Italia. Parola del generale Giuseppe Morabito, alto ufficiale dell’Esercito Italiano che ha lasciato il servizio attivo nel 2016 ma che dal 2007 collabora con alcune università italiane come esperto di settore, focalizzando i suoi studi su questioni riguardanti i Balcani e il Medio Oriente. Inoltre svolge attività didattica focalizzata sul Medio Oriente presso tutti gli istituti di formazione militare in Italia ed alcuni organizzazioni similari nel Medio Oriente. Il Generale Morabito intrattiene relazioni di reciproco interesse con Giordania, Israele, Mauritania, Tunisia, Kuwait, Oman ed Emirati Arabi. Morabito è membro fondatore dell’Institute for Global Security and Defense Affairs (IGSDA), è membro del Collegio dei Direttori della NATO Defense College Foundation (NDCF) e membro dell’Unione Nazionale Ufficiali in Congedo d’Italia (UNUCI).
07-02-2020 – Emanuela Locci, storica del Mediterraneo intervista il generale Giuseppe Morabito, membro del direttorato della NATO Defence College Foundation, sulla situazione geopolitica del Mediterraneo in relazione alle perforazioni attuate dalla Turchia a largo di Cipro e ci autorizza a pubblicare.
Si è tenuto lo scorso 16 novembre ad Abu Dhabi il primo incontro tripartito tra Emirati Arabi Uniti, Cipro e Grecia alla presenza di Sua Altezza lo sceicco Abdullah bin Zayed Al Nahyan, ministro degli Affari esteri e della cooperazione internazionale, e i suoi omologhi, il cipriota Nikos Christodoulides e il greco Nikos Dendias.
L’alto livello di indebitamento pubblico di Cipro (pari all’86% del Pil) ha impedito al governo di intervenire per salvare le banche, ricapitalizzandole. Il buco nero in cui è precipitato il comparto finanziario di Cipro ha minato le basi dell’intera economia locale. Il Pil è crollato del 3,3% nel 2012, secondo le ultime stime sul quarto trimestre dell’anno passato. Quasi il 24% della popolazione (in pratica, un cittadino su cinque) è oggi a rischio povertà.
Cipro era uno dei paradisi fiscali dell’Europa, una destinazione ideale per coloro che volevano evitare plusvalenze ottima per aprire società offshore.
Anche dopo il suo ingresso nell'Unione Europea è rimasta sempre una destinazione importante, per molti investitori stranieri (Russi in primo piano).
Un contesto economico efficiente e sofisticato, unito ad una tassazione del 10%, hanno fatto dell'isola un forte polo di attrazione, per il mercato bancario.
Stanotte è stato raggiunto l'accordo nella riunione dei ministri delle finanze della zona euro: verrà concesso a Cipro un pacchetto da 10 miliardi di euro. Avevamo toccato questo aspetto nell'articolo sull'esito delle elezioni cipriote dove si parlava della necessità di 17,5 miliardi di euro, parlando di alcune perplessità ancora in essere sul paese. Al pacchetto dovrebbe contribuire anche il governo russo, che con il prestito già concesso a Cipro di 2,8 miliardi di euro, estenderà la scadenza dal 2016 al 2021.
Il 24 febbraio 2013 a Cipro si è svolto il ballottaggio per le elezioni presidenziali. In competizione per la carica di presidente c’erano il candidato del partito di centrodestra “Unione Democratica” (Disy), il conservatore Nicos Anastasiades, e il candidato di sinistra Stavros Malas sostenuto dal partito Akel (Partito Progressista dei Lavoratori). Dei due concorrenti, ha avuto la meglio il conservatore Nikos Anastasiadis, 66enne avvocato, da oggi nuovo presidente della strategica isola mediterranea (in realtà della parte greca - vedi cartina) con il 57,47%.