«Oggi, il governo assume la decisione di riconoscere lo stato di Palestina», questo è l’annuncio fatto dal Ministro degli Esteri svedese Margot Wallstrom; una decisione che “fluttuava” nell’aria già dai primi di giorni del mese e che oggi (30 ottobre 2014) conosce la sua ufficialità.
“Non si può ragionare, né negoziare, con un male di questo tipo. La forza è l’unica lingua compresa da assassini del genere”[1]. Con queste parole, in merito alla minaccia rappresentata dallo Stato Islamico, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama si è rivolto alla 69° Assemblea Generale delle Nazioni Unite aggiungendo, inoltre, che “gli Stati Uniti d’America opereranno con una larga coalizione al fine di smantellare questa rete di morte”[2].
Il referendum d'indipendenza scozzese ha emesso il suo verdetto, vale a dire il mantenimento dello "status quo". Infatti, alla domanda “vuoi tu l’indipendenza?” , il 55,30% degli elettori (poco più di 2 milioni di voti) ha risposto “no”. Per qualcuno sarà stata un’occasione persa, per qualcun altro avrà vinto la tradizione. Al contrario, è chiaro che in molti avranno tirato un sospiro di sollievo per le vie della City: basterebbe immaginare, infatti, quanti problemi sarebbero sorti nella gestione delle diverse basi militari che l’esercito di Sua Maestà ha sparse per la Scozia qualora quest’ultima si fosse resa indipendente.
L'Isis conta su un organico molto eterogeneo composto da ex militari e specialisti provenienti dall'area islamista estrema mediorientale asiatica ed europea, oltre a loro hanno aderito al Califfato anche non esperti che reclutati attraverso i noti canali pseudo-religiosi, dopo un breve addestramento (da tre a sei mesi a seconda delle esigenze) vengono inseriti nelle file dei ribelli; fare una stima esatta del numero degli appartenenti è attualmente impossibile, tuttavia si può ipotizzare un numero che oscilla tra i 28.000 ed i 40.000 uomini.
Dopo l'incontro di questa mattina tra il premier Renzi ed i leaders iracheni e curdi, l'invio di armi italiane ai guerriglieri curdi è ormai cosa fatta ed il voto del parlamento italiano sulla questione resta solamente un esercizio di retorica. D'altronde il tempo per ragionare sull'argomento non c'è più se si vuole fermare l'avanzata dell'isis. Il grosso delle armi che l'Italia sta per inviare fa parte di un sequestro avvenuto durante la guerra dei Balcani di un consistente quantitativo di AK 47, di pistole ed inoltre puntatori laser, giubbotti antiproiettile e sistemi di comunicazione.
L'Europa tardivamente si dichiara pronta a dotare i peshmerga di armi per contrastare l'avanzata dei jihadisti dell'isis. Oggi l'Italia si è ufficialmente mossa e per quanto i pacifisti scollati dalla realtà criticheranno l'azione italiana almeno siamo usciti dall'ipocrisia.
L’Ucraina sembra sull’orlo del baratro. È questa l’immagine che emerge dopo gli eventi degli ultimi due giorni. Giovedì ha avuto luogo l’ennesima “offensiva” separatista che ha visto miliziani filorussi occupare gli uffici della procura di Donetsk. Il giorno dopo Kiev ha fatto la sua mossa lanciando un’operazione su larga scala per riprendere possesso di Sloviansk, città del distretto di cui Donetsk è capoluogo finita sotto il controllo delle forze separatiste dai primi di aprile e dove si dice fossero tenuti prigionieri gli osservatori dell’OSCE[1]. Mentre l’esercito circondava la città e tentava una difficile avanzata (rallentata peraltro dalla stessa popolazione civile), sono scoppiati i primi scontri a Odessa tra le fazioni pro e contro Kiev: il bilancio momentaneo è di 42 morti e 125 feriti[2].
Non aveva l’Unione Europea deciso di dare il suo contributo militare al fine di risolvere la crisi umanitaria che imperversa nella Repubblica Centrafricana? La risposta è “si” ma pare che le cose non stiano andando come avrebbero dovuto. Il 10 febbraio il Consiglio Europeo autorizzò la missione di peacekeeping EUFOR RCA[1] ma, finora, non sono stati fatti grandi passi avanti.
Il ruolo della Russia negli affari internazionali è diminuito, almeno temporaneamente, Mosca è stata de facto esclusa dal gruppo delle 8 potenze industrializzate.
Il tentativo del presidente Vladimir Putin di utilizzare il gruppo BRICS le potenze emergenti al fine di mitigare l’isolamento imposto dall’occidente è fallito a causa delle controversie con Cina e India circa il Tibet e il Kashmir.