Questo contesto politico e sociale ha inciso pesantemente sull’effettivo esito negativo dei colloqui ospitati dalle Nazioni Unite tra la Camera dei Rappresentanti e il GNC il 29 settembre scorso, dimostrando la quasi totale incapacità nel trovare attori super partes locali o internazionali dotati di sufficiente credibilità per mediare la crisi libica.
Non si arrestano intanto le violenze nell’est del Paese. Il 2 ottobre tre attacchi bomba suicidi hanno colpito le forze leali al Generale al-Haftar nei pressi della base aerea di Benina, a Bengasi, uccidendo 40 soldati e ferendone oltre 60. L’attentato è stato rivendicato dall’organizzazione islamista nota come Benghazi Revolutionaries Shura Council. Le forze leali a Haftar erano impegnate dal 16 maggio scorso in operazioni militari di contrasto al gruppo Ansar al-Sharia, alla Brigata 17 febbraio e alla Brigata Rafallah al-Sehati. Ad agosto il Benghazi Revolutionary Shura Council, al quale appartengono i diversi gruppi islamisti operanti nell’area, hanno preso il controllo di alcuni basi militari a Bengasi, accumulando un ingente numero di armi pesanti e blindati. L’Operation Dignity, guidata da Haftar e per il momento inefficace, ha in effetti provocato un’escalation di violenze in tutta l’area di Bengasi, nella quale si verificano di frequente scontri a fuoco, esplosioni di IED’s, attacchi suicidi, decapitazioni e rapimenti. Il futuro libico è ancora appeso a un filo, la risoluzione di conflitti interni non avverrà nel medio periodo, di fatto l’attuale impossibilità di mettere in piedi un programma di negoziazioni aperto a tutti gli attori presenti sul campo mina le basi per il ritorno a un clima sicuro.
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