Sono trascorsi 25 anni dal genocidio in Ruanda: 100 giorni di follia - tra il 7 aprile e il 4 luglio 1994 - durante i quali 800 mila ruandesi (ma le stime sulle vittime variano tra 500 mila e 1 milione), furono massacrati a colpi di machete, bastoni chiodati, asce, coltelli e armi da fuoco. Uno degli eventi più sanguinosi della fine del secolo scorso, uno sterminio scatenato dall'odio interetnico tra Hutu e Tutsi, che la comunità internazionale non è stata in grado di fermare in tempo.
La sera del 6 aprile 1994, alle 20.30, gli abitanti di Kigali erano incollati al televisore per una partita di calcio, quando furono scossi da un boato tremendo. L'aereo con a bordo il presidente ruandese Juvela Habyarimana e l'omologo burundese Cyprien Ntariamira, era esploso in volo, dopo essere stato colpito da un missile terra-aria, a pochi minuti dall'atterraggio nella capitale del Ruanda. I due leader, entrambi Hutu, ritornavano dalla vicina Tanzania dove avevano appena firmato un trattato di pace con i ribelli Tutsi del Fronte Patriottico Ruandese (Fpr). L'attentato fu il segnale: da lì a poche ore nel piccolo Paese delle Mille colline si scatenò un inferno, costato la vita a centinaia di migliaia di Tutsi e Hutu moderati. Secondo le stime governative le vittime furono 1.074.017: 10.000 morti al giorno, 400 ogni ora, 7 al minuto.