L’evento, ultimo in una lunga schiera di scioperi e dimostrazioni che si protraggono in quasi tutte le città bulgare da oltre un anno, si è subito tramutato in una violenta protesta contro quella “falsa democrazia”, come si legge nei vari comunicati apparsi in rete, che guida il paese dagli inizi degli anni ’90 e contro il “ricatto delle banche” che, in nome di una transizione economica definita come “infinita”, tengono in ostaggio la nazione da ormai troppo tempo. Quella che, fino a poco tempo fa, insomma, somigliava ad una classica manifestazione universitaria (proprio gli studenti, ancora una volta, sembrano essere i veri portavoce del malcontento nazionale), con tanto di occupazioni di atenei e scuole, sembra oggi più catalogabile come l’inizio di una autentica sollevazione popolare; basta guardare ai disordini e agli arresti che ogni giorno diventano più numerosi e feroci per rendersi conto che la Bulgaria è ormai giunta ad un bivio dove le scelte che verranno prese (o meglio ancora, non prese) potrebbero facilmente portare al collasso del suo stesso sistema. Lo scontento dilagante è rivolto innanzitutto contro il debole governo di Oresharski, troppo ossequioso nei confronti dei diktat del Fondo Monetario Internazionale, per poi estendersi fino all’intera classe dirigente bulgara, troppo distante dalle reali condizione di un popolo che ha il triste primato di esser il più povero dell’UE.
L’Occidente, nel frattempo, segue con inquietudine queste vicende: la paura, diffusa non solo a Bruxelles, è che questo tipo di manifestazioni possano innescare quella scintilla in grado di far deflagrare omologhe situazioni in tutte le nazioni confinanti o geograficamente prossime, cosa che darebbe il via ad un effetto domino di vaste proporzioni. Fra questi paesi, la Romania, dove il malcontento generale sta portando ed episodi che molto da vicino ricordano quelli già visti a Sofia, e la Croazia la quale, appena entrata nella Comunità Europea, già si trova ad esser attraversata da proteste e dissapori, non ultimo quello fra le istituzioni di Zagabria e le minoranze serbe.
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