Anche se il governo fosse costretto alle dimissioni a causa delle proteste, il Re sarebbe comunque costretto a proseguire nelle politiche di austerity. Tuttavia la popolarità del Re rimane alta, e la fedeltà delle forze di sicurezza non sembra poter venir meno. Nel il governo dovesse tagliare ulteriormente i sussidi popolari, le proteste nelle grandi città saranno ancora più forti e alcuni parlamentari potrebbero ritirare la fiducia al governo. Questo scenario al momento sembra improbabile nel breve termine.
In questo contesto di malcontento, soprattutto tra le fasce più povere, il rischio di un incremento di radicalismo islamico è altissimo. Nelle aree periferiche dei maggiori centri urbani so-no in aumento le attività di proselitismo da parte di islamisti, molti dei quali di ritorno dal teatro siriano. Questi islamisti cercheranno di approfittare del contesto di crisi per attaccare le forze di sicurezza giordane e per attrarre nuovi adepti.
In base alle dinamiche del contesto internazionale e regionale, è opportuno pensare che la posizione del Re sia piuttosto solida. Con le imminenti elezioni in Libano, l’incremento delle tensioni in Palestina e con la crisi siriana che entra in una fase molto delicata, sia USA che Arabia Saudita ripongono molta fiducia nel regno giordano. Washington non approverebbe in nessun modo un allontanamento del Re dalla sua posizione, in quanto te-me fin troppo l’innesco di un nuovo focolaio di instabilità nel-la regione. Allo stesso modo, Riad considera Amman ancora un alleato di fiducia, che sostiene gli sforzi sauditi nell’area, sia economicamente che militarmente.
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