L’Ucraina sembra sull’orlo del baratro. È questa l’immagine che emerge dopo gli eventi degli ultimi due giorni. Giovedì ha avuto luogo l’ennesima “offensiva” separatista che ha visto miliziani filorussi occupare gli uffici della procura di Donetsk. Il giorno dopo Kiev ha fatto la sua mossa lanciando un’operazione su larga scala per riprendere possesso di Sloviansk, città del distretto di cui Donetsk è capoluogo finita sotto il controllo delle forze separatiste dai primi di aprile e dove si dice fossero tenuti prigionieri gli osservatori dell’OSCE. Mentre l’esercito circondava la città e tentava una difficile avanzata (rallentata peraltro dalla stessa popolazione civile), sono scoppiati i primi scontri a Odessa tra le fazioni pro e contro Kiev: il bilancio momentaneo è di 42 morti e 125 feriti.
Una crisi che s’infiamma invece di spegnersi, una crisi apparentemente senza vie d’uscita tanto che sono in molti a leggere in questi eventi le prime avvisaglie di una potenziale guerra civile: la tensione tra i due schieramenti forse non è mai stata così alta e in questi casi basta poco per raggiungere il famoso punto di non ritorno.
In tutto questo la diplomazia si è dimostrata incapace di fare passi avanti. La Russia ha chiesto e ottenuto un meeting d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’ONU i cui esiti, però, sono stati a dir poco deludenti: reciproci scambi d’accuse sono tutto ciò che il Palazzo di Vetro è stato in grado di offrire.