Siamo giunti a un momento critico circa gli interessi europei e degli Stati Uniti in Ucraina.
L’annessione della Crimea alla Russia e l’occupazione del Donbass, hanno irrimediabilmente alterato i delicati equilibri di potere in Ucraina sia a livello regionale che nazionale sia il relativo equilibrio tra i più potenti oligarchi del paese.
Gli Ucraini sembrano avere poca fiducia nei confronti dell’attuale costellazione dei leader politici e delle loro promesse.
Per più di 25 anni gli Stati Uniti hanno appoggiato l’Ucraina sulla base di valori e interessi comuni.
26 gennaio 2015. Sono passati nove mesi e undici giorni da quando, il 15 aprile 2014, il presidente ucraino ad interim Oleksandr Turčynov annunciò l’inizio di una operazione di antiterrorismo volta “a proteggere i cittadini ucraini, a fermare il terrore, a fermare il crimine e a fermare i tentativi di fare a pezzi il nostro paese [l’Ucraina N.d.R.]”[1]. Chiunque si aspettasse una campagna veloce e indolore si sbagliava.
Aprile-giugno 2014. Le forze ucraine concentrano inizialmente la loro attenzione su Donetsk. Poi, il 22 aprile, un’operazione militare viene lanciata nell’Ucraina orientale per riprendere controllo delle altre aree occupate dai separatisti. I combattimenti più violenti si registrano nei pressi delle città di Sloviansk, Lugansk, e Donetsk.
Luglio 2014. L’esercito mandato da Kiev riesce a riprendere controllo di Sloviansk mentre i separatisti abbandonano la città e le posizioni circostanti (5 luglio). Fino alla fine del mese, l’esercito e i paramilitari filorussi continuano ad affrontarsi principalmente presso Donetsk e Lugansk. Secondo il Consiglio Nazionale di Sicurezza e Difesa ucraino (CNSD), questi ultimi si trovano in difficoltà e sembrano perdere lentamente terreno sia attorno a Donetsk sia nella parte meridionale dell’Oblast di Lugansk.
Agosto 2014. L’esercito ucraino riesce progressivamente ad avanzare, vicino a Donetsk, su buona parte del territorio occupato dai separatisti. Allo stesso tempo però, proprio le forze filorusse riescono a prendere controllo di una sezione del confine con la Russia nei pressi di Lugansk e a porre una testa di ponte nell’Ucraina meridionale nei pressi della citta di Novoazovsk.
La crisi in Crimea chiama in causa due fondamentali norme di diritto internazionale. La prima è conosciuta come “principio di autodeterminazione dei popoli” e afferma che ogni popolo ha il diritto di scegliere autonomamente il proprio regime politico ricorrendo, ad esempio, all’indipendenza o all’associazione a un altro stato. La seconda è chiamata “sovranità territoriale”: secondo tale norma ogni stato mantiene il controllo all’interno dei suoi confini e s’incorre in una sua violazione ogniqualvolta possa essere provata la presenza fisica e non autorizzata di un organo straniero sul suo territorio.
Il presidente Vladimir Putin asserisce che aveva il diritto di invadere l’Ucraina per proteggere gli interessi russi nonché i cittadini russi dopo mesi di agitazioni popolari, e la conseguente caduta di Yanucovich, smentisce l’intenzione di “annettere” la Crimea e aggiunge che solo i cittadini possono e devono decidere il loro futuro.
Dopo aver assistito all'"eliminazione politica" dell'ex presidente Yanukovyc, l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale si è spostata da Kiev alla Repubblica Autonoma di Crimea, penisola ucraina che si affaccia sulle acque occidentali del Mar Nero e abitata da una popolazione il cui 60% circa è di origine russa.