I tempi lunghi della politica Europea
I lunghi tempi decisionali sono dovuti alla natura politica dell'Unione Europea e alla sua anima intergovernativa che regola la gestione della politica estera, di sicurezza e di difesa; materie che vedono gli Stati Membri custodire gelosamente le proprie prerogative. Fratture e diffidenze politiche hanno infettato il processo d'integrazione sin dalle sue prime fasi causando, in più di un'occasione, una disastrosa paralisi politica. Vari antagonismi coinvolgono, in particolar modo, gli stati più “grandi” (come Francia, Germania e Gran Bretagna), ansiosi di guidare le politiche europee e di non perdere prestigio e potere a livello internazionale.
Alla ricerca dell'unanimita'
Secondo quanto stabilito dall'Articolo 28 «le decisioni relative alla politica di sicurezza e di difesa comune, comprese quelle inerenti all'avvio di una missione [...] sono adottate dal Consiglio che delibera all'unanimità. Considerando alcuni infelici precedenti, l'unanimità può rappresentare un serio ostacolo al lancio di una missione militare ma, data la drammaticità della situazione nella Repubblica Centrafricana, ci si può aspettare una votazione favorevole anche da parte degli stati più scettici e diffidenti (come la Germania) giacché il semplice voto non impegnerebbe uno stato ad assumersi incarichi operativi.
Partecipazione multilaterale
Il Trattato di Lisbona afferma, all'Articolo 28, che «il Consiglio può affidare la realizzazione di una missione a un gruppo di Stati membri che lo desiderano e dispongono delle capacità necessarie per tale missione». Al momento, Belgio, Estonia e Polonia si sono impegnate nel fornire supporto aereo strategico-tattico alla missione francese, supporto che certamente è destinato a continuare anche nel quadro di una missione UE. Gli stati baltici e dell'est Europa hanno, negli ultimi anni, accresciuto la loro presenza in operazioni multilaterali ma, date le effettive capacità militari e le disponibilità economiche, è probabile che un loro apporto sia da intedersi in termini di supporto alle operazioni (rifornimenti, attrezzature etc). Le unità militari vere e proprie giungeranno probabilmente da stati più grandi, come Gran Bretagna e Spagna. Italia e Germania potrebbero fare la propria parte, ma su Roma pesano l'instabilità economico-politica del paese, mentre Berlino non ha ancora ancora abbandonato lo scettiscismo con il quale ha accolto la richiesta d'aiuto francese.
Forza militare e mandato
I numeri sono chiari: oltre 2500 peacekeepers dell'Unione Africana e circa 1600 soldati francesi non sono riusciti, fin'ora, ad arginare le violenze e a riportare la stabilità nel paese. Per essere efficace, un'eventuale missione Europea dovrebbe portare nella Repubblica Centrafricana almeno 3000-4000 unità.
Un “modello” ottimale potrebbe essere rappresentato dalla missione EUFOR Tchad/RCA che l'Unione Europea lanciò tra il 2008 e il 2009 nel Ciad orientale e nel nord-est della Repubblica Centrafricana per arginare gli effetti della crisi del Darfur. Tra il 28 gennaio 2008 e il 29 marzo 2009, 3700 soldati europei furono progressivamente inviati nella regione con il compito di proteggere la popolazione civile, favorire la distribuzione degli aiuti umanitari e proteggere il personale e le infrastrutture dell'ONU e di altre organizzazioni operanti sul territorio. I costi comuni della missione toccarono i 120 milioni di dollari ma, ad oggi, è considerata una delle più efficaci operazioni europee.
Per risolvere la crisi centrafricana, l'Unione Europea potrebbe, quindi, riproporre un approccio simile: una forza di 3000-4000 uomini con un mandato eventualmente più incisivo sotto il profilo operativo (i compiti di pattugliamento, di supporto e di distribuzione degli aiuti potrebbero non essere sufficienti) la cui durata potrebbe oscillare tra i 4 e i 12 mesi. Inoltre, il Consiglio Europeo potrebbe preventivamente ipotizzare il lancio di una successiva missione SSR (Security Sector Reform) al fine riformare il settore della sicurezza nazionale in modo che gli apparati di sicurezza centrafricani possano garantire autonomamente la stabilità interna del paese.
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