Che gli Stati Uniti, ossessionati dalla tutela della propria sicurezza, fossero pronti a spiare la “vita privata” delle persone non desta forse grandi sorprese. Tuttavia, quasi nessuno avrebbe ritenuto Washington capace di spingersi tanto in là da porre sotto sorveglianza alcune delle più importanti sedi diplomatiche europee presenti sul territorio americano. Eppure, secondo quello che potrebbe essere attualmente l’uomo più ricercato d’America, gli Stati Uniti avrebbero messo in atto un intenso spionaggio ai danni delle istituzioni europee e delle sedi di rappresentanza dell’UE, e le ambasciate dei suoi paesi membri sarebbero state oggetto di un monitoraggio continuo. Siffatte rivelazioni hanno inevitabilmente scosso le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Unione Europea, causando sdegno nel Vecchio Continente (i cui leader minacciano di disertare il progetto di un’area di libero scambio euro-atlantica) e imbarazzo oltreoceano.
Tuttavia, ancora più scalpore lo desta l’indiscrezione che vuole almeno sei paesi europei coinvolti nella gestione del traffico di dati, riportando alla mente vecchi ricordi da guerra fredda. Eppure il 1989 è passato da un pezzo. In ogni caso venti carichi d’imbarazzo hanno colpito anche i centri di potere europei, che sembrano aver abbassato i toni della polemica. Certo, prove tangibili che supportino tale supposizione difficilmente si trovano dietro l’angolo, ma il polverone mediatico sollevato dalla vicenda ha, senza sorpresa, portato alle prime smentite da parte degli esecutivi accusati di una partecipazione “attiva” nella vicenda.
Indipendentemente da quali saranno le future rivelazioni, l’uragano Datagate sembra pronto ad abbattersi nuovamente sulle due sponde dell’Atlantico.
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