Boko Haram continua la sua “guerra santa” in Nigeria: tre nuovi attentati hanno fatto vittime nel nord-est del Paese. Pur in mancanza di una rivendicazione ufficiale, il dito è senza indugio puntato verso il gruppo jihadista nigeriano.
Sale la tensione tra l'Armenia e l'Azerbaijan dopo che l'esercito azero ha abbattuto, verso le 13.35 di mercoledì 12 novembre[1], un elicottero militare armeno (un MI-14 da combattimento) nel distretto di Agdam (nel Karabakh).
«Oggi, il governo assume la decisione di riconoscere lo stato di Palestina», questo è l’annuncio fatto dal Ministro degli Esteri svedese Margot Wallstrom; una decisione che “fluttuava” nell’aria già dai primi di giorni del mese e che oggi (30 ottobre 2014) conosce la sua ufficialità.
Stando a quanto riportato dal portale Greek Reporter, lunedì 27 Ottobre sei caccia F-16 turchi avrebbero violato lo spazio aereo ellenico per circa 30 minuti (dalle 13:11 alle 13:44)[1]. La notizia, al momento non confermata dallo Stato Maggiore greco[2] e non ancora rilanciata dalle principali agenzie di stampa internazionali, dimostra come la c.d. “disputa sull’Egeo” tra Grecia e Turchia non si sia mai esaurita.
Con il passare dei mesi, l’evolversi della caldissima questione ucraina sta consegnando allo scenario politico internazionale una Germania davvero inedita: su questo nessun analista nutre alcun dubbio. Per decenni siamo stati abituati all’immagine di un paese costretto dal suo ingombrante passato alle sue iniziative in campo internazionale nell’ambito – certo meritorio- della cooperazione per lo sviluppo economico, rinunciando a svolgere un ruolo di protagonismo negli equilibri politico-militari. In altre parole, la Germania ha dovuto fare di tutto per cercare di rimuovere ogni traccia del suo nazionalismo aggressivo, spazzato via insieme alla celebre prima strofa del suo inno nazionale, “Deutschland über alles in der Welt”.
Il presidente della Turchia Erdogan ha dichiarato ieri che la città curdo-siriana di Kobani sta per cadere migliaia di persone sono fuggite dalle loro case.
La prospettiva che la città possa cadere in mano all’ISIS ha fatto aumentare la pressione sulla Turchia al fine di una partecipazione insieme alla coalizione internazionale per la lotta contro i Jihadisti.
“Non si può ragionare, né negoziare, con un male di questo tipo. La forza è l’unica lingua compresa da assassini del genere”[1]. Con queste parole, in merito alla minaccia rappresentata dallo Stato Islamico, il Presidente degli Stati Uniti Barack Obama si è rivolto alla 69° Assemblea Generale delle Nazioni Unite aggiungendo, inoltre, che “gli Stati Uniti d’America opereranno con una larga coalizione al fine di smantellare questa rete di morte”[2].
Il referendum d'indipendenza scozzese ha emesso il suo verdetto, vale a dire il mantenimento dello "status quo". Infatti, alla domanda “vuoi tu l’indipendenza?” , il 55,30% degli elettori (poco più di 2 milioni di voti) ha risposto “no”. Per qualcuno sarà stata un’occasione persa, per qualcun altro avrà vinto la tradizione. Al contrario, è chiaro che in molti avranno tirato un sospiro di sollievo per le vie della City: basterebbe immaginare, infatti, quanti problemi sarebbero sorti nella gestione delle diverse basi militari che l’esercito di Sua Maestà ha sparse per la Scozia qualora quest’ultima si fosse resa indipendente.
L'Isis conta su un organico molto eterogeneo composto da ex militari e specialisti provenienti dall'area islamista estrema mediorientale asiatica ed europea, oltre a loro hanno aderito al Califfato anche non esperti che reclutati attraverso i noti canali pseudo-religiosi, dopo un breve addestramento (da tre a sei mesi a seconda delle esigenze) vengono inseriti nelle file dei ribelli; fare una stima esatta del numero degli appartenenti è attualmente impossibile, tuttavia si può ipotizzare un numero che oscilla tra i 28.000 ed i 40.000 uomini.
Nonostante la tregua in atto tra Cremlino ed Ucraina gli Stati Uniti e la UE impongono pesantissime sanzioni a Putin. Questa volta sono stati colpiti gli interessi di tutti i più stretti collaboratori del premier russo che oltre ad essere gli oligarchi che gestiscono quasi tutte le risorse del paese hanno anche incarichi politici di peso. L'economia russa si fonda infatti su di una metodologia post capitalista in cui i politici sono anche imprenditori e manager, sovrapponendo i propri interessi a quelli del partito, gestendo in questo modo con maggiore velocità, le scelte strategiche senza alcuna opposizione sia interna che esterna, in buona sostanza una sorta di monarchia economica.