Siamo stati inoltre abituati, nel periodo successivo al raggiungimento dell’agognata Vereigung, la riunificazione della DDR e della BDR, ad un progressivo allentamento dei rapporti con gli Stati Uniti, che hanno toccato il loro minimo storico nel 2003, in occasione della mancata partecipazione tedesca all’operazione “Iraqi Freedom”. Ebbene, come anticipato in apertura, la crisi ucraina ha determinato una netta virata della politica estera della Germania, che guidata dalla determinatissima Bundeskanzlerin Angela Merkel ha energicamente sostenuto fin dal principio il nuovo corso politico di Kiev, esortando Yulia Tymoschenko, appena scarcerata a seguito della rivoluzione di Piazza Maidan, a «lavorare per l’unità del Paese». Ancor più risoluto è stato poi l’appoggio del governo tedesco al nuovo presidente ucraino, Petro Poroshenko, che Frau Merkel ha incontrato a Kiev il 23 agosto scorso, ribadendo con fermezza la volontà di difendere l’integrità territoriale ucraina. La seconda rilevante novità della politica estera tedesca è poi la forte sintonia che si è stabilita fra la cancelliera tedesca e il presidente Obama, ben testimoniata dal monito congiunto rivolto alla Russia di Putin in occasione dell’incontro di Washington del 28 agosto: «la Russia pagherà un costo per la sua aggressione all’Ucraina». Parole forti, che ben si iscrivono nel contesto del rilancio dell’alleanza atlantica dettato dalle crescenti tensioni con Mosca. Fin qui, la Germania sembra fare la parte del leone, essendosi finalmente conquistata un posto al sole nel Gotha della geopolitica. Ma questo rinnovato protagonismo sta avendo un costo elevatissimo: la compromissione di rapporti economici vitali con la Russia. Bastano poche cifre per rendersene conto: secondo i dati ufficiali del governo tedesco, nel 2013 la Germania ha importato dalla Russia beni per oltre 40 miliardi di Euro, mentre le esportazioni complessive verso la Russia sono state superiori ai 36 miliardi. La Germania è inoltre il secondo acquirente di Gazprom, superata soltanto dalla Cina. Come era prevedibile, le sanzioni inflitte alla Russia hanno dunque pesantemente inficiato l’economia tedesca, che non a caso ha registrato una preoccupante flessione dello 0,2 % del PIL nel secondo trimestre del 2014. Un’indagine pubblicata nel mese di agosto dalla Welt ha rivelato la concreta preoccupazione dei top manager tedeschi per le conseguenze economiche della crisi Ucraina, e a ciò si è aggiunto lo scorso 16 settembre l’influente giudizio di Mario Ohoven, presidente della BVMW, l’associazione delle piccole e medie imprese tedesche, il quale ha fortemente criticato la proposta di un inasprimento delle sanzioni inflitte alla Russia. Questi preoccupanti segnali devono avere in qualche modo incrinato, al di sotto della superficie, le granitiche certezze del governo tedesco, e la frenata di Angela Merkel sull’imposizione di nuove sanzioni contro la Russia, avvenuta a ridosso della pubblicazione dei primi dati economici negativi, sembra confermarlo. A tutto ciò si deve aggiungere che i possibili vantaggi derivanti dall’ingresso dell’Ucraina nella sfera di influenza economica tedesca – quell’Europa centro-orientale che da taluni analisti è stata provocatoriamente ribattezzata Zollverein, dal nome dell’unione doganale degli stati tedeschi promossa da Bismarck - sono stati drasticamente ridotti dalla secessione della Crimea, indubbiamente la regione ucraina più ricca di risorse energetiche. Peraltro l’ingresso dell’Ucraina nell’Unione Europea, come ha confermato lo stesso Poroshenko, non potrebbe avvenire prima del 2020. La Germania si trova allora ad un bivio: da una parte, può continuare ad appoggiare incondizionatamente il governo ucraino in funzione antirussa, sapendo tuttavia di inseguire un risultato incerto a scapito di fondamentali garanzie economiche; dall’altra, potrebbe riacquistare un più prudente ruolo di mediazione fra l’asse atlantico e Mosca, rinunciando però al ruolo di protagonista assoluto della crisi ucraina svolto sinora. In un caso o nell’altro, l’esecutivo tedesco si troverà a fronteggiare delle incognite piuttosto insidiose.
La crisi ucraina non è comunque l’unico fatto di politica estera a catalizzare l’attenzione del governo e dell’opinione pubblica tedesca: ad ogni notiziario, infatti, risuona sinistro il nome della Terrormiliz dell’Isis. Anche in quest’ambito si deve rilevare una sostanziale novità rispetto alla tradizionale politica di basso profilo. Se da un lato il ministro degli Esteri Walter Steinmeier ha escluso un coinvolgimento dell’aviazione tedesca nei bombardamenti contro le postazioni dell’Isis, e, a fortiori, l’impegno di truppe di terra sul suolo iracheno, dall’altro l’esecutivo ha preso lo scorso 30 agosto una decisione di portata storica, a soli tre anni di distanza dal mancato intervento nella crisi Libia, avallando l’invio di consistenti aiuti militari ai combattenti curdi impegnati nella guerra contro il “califfato” di Al-Baghdadi: il governo tedesco si è impegnato a fornire ben 500 missili anticarro, 16.000 fucili d'assalto, 10.000 bombe a mano e 240 bazooka. All’interno della stessa grosse Koalition sono state espresse delle perplessità, anche ad opera di importanti esponenti come lo stesso Steinmeier ed Ursula von der Leyen (CDU), ministro della Difesa, che ha espresso il timore di un possibile utilizzo delle armi tedesche da parte delle milizie curde per la costituzione di uno stato indipendente, ma nel suo discorso tenuto al Bundestag il 1 settembre la cancelliera ha ribadito fermamente l’assoluta necessità di fermare l’ascesa dell’Isis, responsabile di un vero e proprio genocidio e grave minaccia per la stessa Germania. E senza dubbio le parole della Bundeskanzlerin hanno un senso alla luce dei rapporti dell’intelligence tedesca, dai quali emerge che circa 450 jihadisti hanno raggiunto lo Stato Islamico dalla Germania. Un dato ancor più inquietante, se si considera che un’inchiesta dello Spiegel ha individuato tra gli jihadisti attivi in Siria ben 20 ex soldati della Bundeswehr, l’esercito federale tedesco. Per non parlare della triste storia di Buran Karan, già compagno di Sami Khedira e Kevin Prince Boateng nella nazionale tedesca under 17, il quale, dopo aver precocemente abbandonato l’attività calcistica, si è arruolato tra le milizie jihadiste ed è deceduto nel novembre del 2013 sui campi di battaglia della Siria, a soli 26 anni. Di fronte ad una minaccia di tale portata, che tocca non solo dunque gli equilibri di un’area cruciale come il Medioriente, ma anche la stessa sicurezza della Germania, il governo tedesco ha dunque deciso di non restare a guardare, superando così la tradizionale ritrosia a farsi coinvolgere, pur indirettamente, negli scenari di guerra. Il messaggio è chiaro: nella lotta contro la barbarie dell’Isis, la Germania non si tira indietro.
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