Linguaggio forte a parte, il messaggio è chiaro. Infatti, gli Stati Uniti sono alla guida di un gruppo di stati la cui azione si concretizza nel bombardare posizioni dell’ISIS (o IS) a cavallo del confine Siria-Iraq. In breve, però, nuovi “membri” potrebbero entrarvi. Il Primo Ministro britannico David Cameron ha chiaramente affermato che la “Gran Bretagna farà la sua parte”[3] unendosi agli Stati Uniti e agli altri stati: sottolineando la necessità “di agire in protezione dei nostri interessi nazionali e della nostra popolazione”[4] ha reso noto che il parlamento voterà a favore o contro tale possibilità nella giornata di venerdì 26. Nel frattempo, i Paesi Bassi hanno già assicurato il proprio contributo garantendo il dispiegamento di sei caccia F-16; e il Belgio, dietro una diretta chiamata del Presidente Obama, dovrebbe anch’esso mettere a disposizione sei caccia F-16 e alcuni aerei cargo C-130[5]. Infine, anche l’Australia ha preso le sue contromisure: dopo aver lanciato una maxi-operazione d’antiterrorismo a metà settembre e dopo aver promesso il trasferimento di un contingente di 600 uomini presso una base americana negli Emirati Arabi, il governo si è detto pronto a contribuire ulteriormente alla lotta contro l’ISIS fornendo fino a otto caccia multiruolo F-18 Super Hornet[6] (tuttavia, non è ancora chiaro se prenderanno attivamente parte ai bombardamenti).
[1] Barack Obama, 69° AG ONU, 24 settembre 2014 [fonte: http://www.voltairenet.org/article185437.html].
[2] Ibidem.
[3] David Cameron, 69° AG ONU, 24 settembre 2014 [fonte: http://www.un.org/en/ga/69/meetings/gadebate/pdf/GB_en.pdf].
[4] Ibidem.
[5] Fonte: Reuters.com.
[6] Ibidem.
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