E’ stato ucciso per quello che era, per la sua anagrafe, per il suo essere nato americano, per essere semplicemente un occidentale, un “nazareno”. Allora siamo tutti James Foley, non solo per la solidarietà, per il dolore provato, per l’angoscia, per la pena che ci ha riempito il cuore, ma anche perché siamo tutti in pericolo.
Senza allarmismi e campagne stampa terroristiche dobbiamo renderci conto che siamo diventati un obiettivo legittimo del califfato che avanza. L’ipocrisia dei pacifisti da bar, di cui l’Italia è piena, ci racconta strategie di intervento scollate dalla realtà pensando di accettare il dialogo con chi utilizza la decapitazione come forma di propaganda politica senza valutare che l’Isis non vuole alcun dialogo, ma mira al controllo territoriale di intere aree su cui imporre il califfato.
L’Isis non ha nulla a che vedere con le vecchie organizzazioni jihadiste, non utilizza kamikaze ma soldati esperti e senza scrupoli, reclutati su diversi e numerosi fronti di guerra (Siria, Somalia, Africa).
Si è fatto un gran clamore umanitario per la guerra israelo-palestinese, facendo passare quasi inosservati gli eccidi cristiani in Iraq.
Ora, solo ora, con una decapitazione in rete, ci si accorge del pericolo.
Meglio tardi che mai.
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