Il resoconto stilato dai funzionari non accusa nessuna delle due parti in conflitto, eppure i vari accertamenti paiono indicare Assad come responsabile degli attacchi. Due sono gli elementi rilevanti: la probabile traiettoria compiuta dai razzi e la presenza di agenti chimici stabilizzanti. Dall’osservazione dei siti, gli ispettori hanno dedotto che il lancio dei missili dovrebbe esser stato compiuto a nord-ovest della capitale siriana, una zona controllata dalle forze governative; mentre le tracce degli agenti chimici farebbero presupporre la presenza di un luogo di stoccaggio controllato, rendendo così scartabile l’ipotesi di una fabbricazione artigianale.
Queste prove hanno al momento rinvigorito il fronte internazionale anti-Assad: l’ambasciatore britannico alle Nazioni Unite Mark Lyall Grant ha dichiarato che ormai «non ci sono più dubbi che sia stato il regime a usare armi chimiche»; una posizione condivisa sia dal Ministro degli Esteri francese Laurent Fabius secondo il quale «non ci sono dubbi che dietro gli attacchi ci sia regime», e dal Segretario di Stato americano John Kerry per il quale «se la diplomazia dovesse fallire l’intervento militare è sempre sul tavolo».
Nella realtà dei fatti, proprio la strada che dovrebbe portare a una soluzione pacifica e diplomatica è ancora in salita giacché, mentre l’asse Washington-Londra-Parigi accusa apertamente il regime di Assad, la Cina promette una «scrupolosa revisione» del rapporto ONU e la Russia rende note le proprie perplessità riguardo l’analisi svolta dagli ispettori e ribadisce con forza che nessuna decisione su un intervento militare debba essere presa fin tanto che non saranno analizzate a fondo tutte le prove relative gli eventi del 21 agosto. La partita è ancora aperta.
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