Il primo ministro Israeliano Benjamin Netanyahu nel corso del suo ultimo discorso all’ONU, ha descritto lo Stato Islamico, l’Iran e il gruppo militare di Hamas che controlla la striscia di Gaza come un unico team aggiungendo che i nazisti credevano in una razza padrona alla quale tutte le altre razze avrebbero dovuto sottomettersi allo stesso modo gli islamisti credono che la loro fede si debba imporre su tutte le altre fedi.
L'Isis conta su un organico molto eterogeneo composto da ex militari e specialisti provenienti dall'area islamista estrema mediorientale asiatica ed europea, oltre a loro hanno aderito al Califfato anche non esperti che reclutati attraverso i noti canali pseudo-religiosi, dopo un breve addestramento (da tre a sei mesi a seconda delle esigenze) vengono inseriti nelle file dei ribelli; fare una stima esatta del numero degli appartenenti è attualmente impossibile, tuttavia si può ipotizzare un numero che oscilla tra i 28.000 ed i 40.000 uomini.
Con una guerra civile che imperversa dal 2011, il bilanciamento tra le forze in gioco sembra non aver mutato radicalmente le sue forme: uno stallo politico-militare che né le forze lealiste né quelle ribelli sembrano in grado di forzare.
Ora, abbandonando ogni retorica, è chiaro che, in termini di sicurezza internazionale, una Siria in stallo è una Siria più sicura. Chi la ritenesse un'affermazione errata o fuori luogo, per leggerne la veridicità, non dovrebbe far altro che provare a immaginare i potenziali scenari alternativi.
(Oggi, 3 Giugno 2014, la Siria è pronta per le prime elezioni presidenziali a più candidati della sua storia, denunciate dall’opposizione come farsa. La sfida è a tre, Bashar al Assad, Maher al Hajjar e Hassan al Nouri)
Che distruggere l'arsenale chimico siriano fosse una missione complessa non è mai stato messo in dubbio ma, al momento, la situazione s'è fatta più complicata del previsto. I primi problemi sono emersi nel mese di dicembre quando l'OPAC si affannò nel cercare un modo di distruggere parte del suddetto arsenale e nessuno stato o ente privato volle farsi carico dell'onere; così l'OPAC è stata costretta a risolvere la "crisi" riesumando un'opzione precedentemente accantonata: distruggere il materiale chimico in acque internazionali a più riprese. Un secondo grande problema è emerso sul finire del 2013 sconvolgendo la tabella di marcia che l'Organizzazione si era prefissata: secondo i piani approvati nei mesi precedenti, entro il 31 dicembre 2013 gli elementi chimici più pericolosi avrebbero dovuto lasciare la Siria, tuttavia qui hanno fallito a causa delle cattive condizioni climatiche e dei continui scontri tra le truppe di Assad e i gruppi ribelli nel quadro di una interminabile guerra civile. Ora la macchina si è rimessa in moto ma i presupposti non sono dei migliori.
In Siria, il processo di smantellamento dell'arsenale chimico siriano si è svolto, a oggi, senza intoppi. La prima fase è terminata con successo il 21 settembre scorso quando il regime consegnò all'OPAC (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) l'inventario del proprio armamentario. La seconda fase, quella relativa la sua verifica, distruzione e disattivazione è ora entrata nel vivo, ma con una grande incognita. L’OPAC ha annunciato che le attrezzature per la produzione di armamenti chimici sono state distrutte e che tutto l’arsenale di cui il regime ha dato comunicazione – che secondo il portavoce dell'organizzazione Christian Chartier ammonta a «1000 tonnellate di agenti chimici utilizzabili per preparare armi, e 290 tonnellate di armi chimiche» già pronte – è stato sigillato dagli ispettori; tuttavia non è per nulla chiaro dove quest’arsenale potrà essere distrutto.
A fine settembre 2013, i 15 Membri del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite hanno approvato all'unanimità una risoluzione che impone al regime siriano lo smantellamento del proprio arsenale chimico entro la metà del 2014. Una novità importante nel quadro di una guerra civile che insanguina il Paese da oltre due anni. Eppure, sopravvalutarne la portata sarebbe un errore.
Le parole del re dell’Arabia Saudita Abdullah sono il nostro spunto per cercare di capire le problematiche di natura settaria che animano la politica, ma non solo, Mediorientale.
Il re Abdullah, riferendosi all’Iran, secondo dati WikiLeaks, si è espresso in questi termini “ che Dio ci impedisca di cadere vittime del loro male” ed ha aggiunto che Washington dovrebbe “tagliare la testa del serpente”.
«Sulla base delle prove raccolte [...] la conclusione è che il 21 agosto 2013 sono state utilizzate armi chimiche nel conflitto in corso nella Repubblica Araba di Siria, anche contro civili, compresi bambini. [...] I campioni ambientali, chimici e medici che abbiamo raccolto forniscono prove chiare e convincenti sull’uso di razzi superfice-superfice contenenti l’agente nervino Sarin». Queste sono le conclusioni tratte dagli ispettori dell’ONU nelle quarantuno pagine dell’attesissimo rapporto sulla strage di Damasco dello scorso agosto.
Soltanto con l’adottare la minaccia militare, l’America è stata capace di spingere la crisi siriana verso una fase di presenza internazionale determinante.
L’uso di armi chimiche è stata la scintilla che poteva portare la guerra verso un intervento esterno.
L’asse russo nel suo contempo ha adottato una strategia che mira a privare gli Stati Uniti da eventuali legittimi motivi per lanciare un attacco contro la Siria.