La prima possibilità vagliata dall'Organizzazione è stata quella di trasferire ed eliminare il materiale chimico in Europa, ma i paesi interpellati – vale a dire Albania, Belgio, Danimarca e Norvegia – hanno dato risposta negativa. Una seconda opzione suggeriva un parziale smantellamento in mare ma tale alternativa è presenta una serie di incognite relative la fase di trasporto fino alla costa. L'ultima carta giocata dall'OPAC è datata 21 novembre quando, sul sito dell'organizzazione, è comparso un annuncio attraverso il quale si fa sapere che si cercano società private disposte a farsi carico dello smaltimento di 799 delle circa 1300 tonnellate di gas tossici. La situazione non è disperata, ma la missione si sta certamente rivelando più complicata del previsto. Inoltre, i tempi sono abbastanza stretti: entro il 31 dicembre dev'essere rimosso dalla Siria l’armamentario considerato più critico, mentre il resto dev'essere distrutto entro la prima metà del 2014.
Quella che da più parti è stata definita come un'operazione senza precedenti vive ora la fase più critica. Anche se l'alto funzionario dell'OPAC Malik Ellahi ha cercato di infondere un po’ di tranquillità a tutto l'ambiente affermando che «ci sono opzioni e [...] modalità con cui il piano si può realizzare», la speranza è che qualche candidato si faccia avanti all'ultimo momento. D’altra parte, non trovare una soluzione al problema costituirebbe un fragoroso fallimento per tutta la comunità internazionale ed è difficile credere che questo possa accadere, non dopo tutti gli sforzi resisi necessari alla firma della Risoluzione che ha avviato l’intero processo di smantellamento.
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