L’instabilità politica e sociale della Repubblica aveva già portato l’Unione Africana a inviare 2500 peacekeepers ma, avvertendo il rischio di una rapida escalation, una risposta francese non si è fatta attendere. Il 26 Novembre, il Ministro della Difesa francese Jean-Yves Le Drian ha annunciato l’invio di un contingente di 1000 soldati che andrà ad affiancare le 420 unità francesi già presenti sul territorio; missione poi avallata dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite che con una votazione del 5 dicembre ha dato il proprio “via libera”. Le Drian ha correttamente dichiarato che l’apparato statale della RC è in fase di collasso e che un’eventualità di questo tipo non può essere certamente contemplata giacché scatenerebbe una spirale di violenze e una conseguente crisi umanitaria.
Certo, essendo la Repubblica un’ex colonia francese, non è difficile immaginare perché l’Eliseo non abbia perso tempo: per Bangui, le relazioni import-export con i colonizzatori d’un tempo costituiscono una colonna portante dell’economia nazionale; da parte francese, come affermato nel Libro Bianco sulla Difesa e la Sicurezza Nazionale del 2013, la RC è un tassello strategico fondamentale in termini di sicurezza. Inoltre, i giacimenti d’oro, di diamanti, di uranio e di minerali vari, fanno della Repubblica Centrafricana un centro nevralgico anche in termini geo-economici.
Tuttavia, il resto della comunità internazionale dovrebbe responsabilmente prestare grande attenzione a quanto accadrà nella regione. Questo perché gli effetti negativi che potrebbero generarsi dal “fallimento” della RC non andrebbero a coinvolgere solo la Francia o gli stati limitrofi: in un mondo largamente globalizzato, questi finirebbero per causare seri danni alle relazioni politiche, sociali ed economiche ben oltre il livello regionale. Oltretutto, dall’osservazione di crisi recenti (quella somala su tutte), l’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno riconosciuto il fallimento e il collasso dello Stato come una delle più gravi minacce alla sicurezza internazionale. Secondo teorie “geopolitiche” ormai largamente accettate, da accadimenti di tale natura è più che lecito attendersi lo scoppio di guerre civili, di devastanti crisi economiche e di gravi violazioni dei diritti umani; senza contare che scenari simili costituiscono un ambiente fertile per la nascita e lo sviluppo di varie forme di criminalità organizzata o per l’insediamento indisturbato di gruppi terroristici. È chiaro, quindi, che il nostro mondo non possa permettersi di affrontare una crisi di questo tipo.
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