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23-02-2015

Daesh, la Libia e le armi chimiche

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“Daesh in possesso di armi chimiche”. Questo è il nuovo e infondato allarme proveniente dalla Libia.

La storia delle armi chimiche libiche risale ai primi anni ’80, nel pieno di una lotta per la leadership a livello regionale. Dopo anni di tensione politica, la svolta giunse all’alba del nuovo millennio quando, nel gennaio del 2004, la Libia aderì alla Convenzione sulle Armi Chimiche (CAC).

La CAC raggruppa e classifica le sostanze chimiche in tre categorie.

  • ·         Categoria 1: sostanze utilizzabili come armi chimiche e che hanno un uso pacifico molto limitato se non del tutto inesistente,
  • ·         Categoria 2: sostanze utilizzate come precursori o, in alcuni casi, come armi chimiche ma utilizzate anche a fini commerciali
  • ·         Categoria 3: sostanze usate per la produzione di armi chimiche, o utilizzabili come tali, ma che sono principalmente impiegate a fini pacifici.

Come nuovo stato firmatario della Convenzione, la Libia dichiarò la presenza di:

  • ·         24,7 tonnellate metriche (MT) di iprite (Categoria 1);
  • ·         1,390 MT di precursori chimici;
  • ·         3,563 munizioni chimiche, non cariche, di tipo air delivered;
  • ·         3 impianti di produzione.

Dopo la fine dell’era Gheddafi, il nuovo governo annunciò nel novembre del 2011 e nel febbraio del 2012 l’esistenza “riserve” in precedenza non dichiarate e costituite da:

  • ·         centinaia di munizioni caricate con iprite (Categoria 1);
  • ·         alcune centinaia di chili di iprite conservati in contenitori di plastica (Categoria 1);
  • ·         un ridotto numero di container di plastica vuoti.

A oggi, la situazione è la seguente:

  • ·         tutte le munizioni a base di iprite e le riserve di iprite stessa (Categoria 1) sono state distrutte,
  • ·         tutte sostanze di Categoria 3 sono state distrutte,
  • ·         due degli impianti di produzione sono stati distrutti, mentre uno di questi è stato convertito a struttura farmaceutica,
  • ·         devono essere ancora distrutti (entro il 2016) circa 850 MT di precursori di Categoria 2 e alcuni agenti polimerizzanti «che, pur essendo tossici, non possono essere usati per riempire armi chimiche»[1].

Dunque, alla luce di quanto detto, la minaccia in questione è da considerarsi infondata: le componenti di Categoria 1 e Categoria 3 sono state totalmente e i precursori di Categoria 2 non possono essere considerati alla stregua di armi chimiche pronte all’uso[2].

Anche qualora le milizie legate a Daesh fossero entrate in possesso di depositi sfuggiti al controllo dell’OPAC, la minaccia verso l’Italia rimarrebbe inconsistente, indipendentemente dal fatto che si tratti di armi di tipo ground delivered (come mortai, razzi e missili d’artiglieria) o air delivered: le prime hanno una gittata insufficiente, mentre le seconde non potrebbero nemmeno essere utilizzate poiché tali gruppi sono privi di mezzi e di piloti. Inoltre, non hanno capacità e mezzi per poter creare nuove munizioni.

A questo punto viene da chiedersi perché tali notizie trovino costante eco mediatico. Che si tratti di una strategia di condizionamento in previsione di un intervento armato in Libia? Nella teoria del realismo politico, iniziative volte a proteggere interessi nazionali di varia natura trovano spazio e fondamento; tuttavia, una tale mistificazione della realtà non può essere accettata, a prescindere dalle “impostazioni teoriche” individuali. 



[1] Fonte: Interview with Ahmet Üzümcü, Director-General OPCW (opcw.org).

[2] Fonte dati: opcw.org.

© Riproduzione Riservata 

Alessandro Mazzilli

Laurea in Scienze Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Torino.

Esperto in Politica Estera di Difesa e Sicurezza e sulle relazioni Euro – Atlantiche.

Analista Geopolitico

Consulente in Servizi di Stuarding e controlli di sicurezza.

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