Un impianto di cui volutamente non diffondiamo le indicazioni di localizzazione insiste senza recinsioni, addirittura, sulla rotabile principale utilizzata comunemente per circolare.
In questi mesi di totale disgregazione dello stato libico, l’Eni e le ditte appaltatrici hanno pensato di affidare la sicurezza degli impianti alle bande libiche, senza tener conto che le stesse non sono federate, neppure a Tripoli, ma agiscono in una continua geometria variabile, con la conseguenza di avere, nel giro di poche ore, alleati e nemici diversi e viceversa.
Per la soluzione del caso i Ministri degli Esteri e dell’Interno italiani dichiarano che ogni ipotesi è aperta e questo è logico solo nel senso che i nostri connazionali sono stati venduti dai libici presenti nell’impianto e poi catturati da una banda probabilmente berbera non orientata alla politica ma agli affari.
Dall’area del rapimento i banditi libici si sono diretti in alcune località desertiche a ridosso del confine tunisino.
La mancanza di rivendicazioni di ogni tipo orienta l’analisi verso una possibile cessione dei sequestrati al altre bande capaci di monetizzare immediatamente il sequestro.
L’intervento utile per la liberazione deve essere rapido e mirato ad una trattativa concreta che diventi immediatamente conveniente per i rapitori.
Ogni giorno perso complica la situazione.
Il sequestro di stranieri è un business, l’intelligence dovrà operare in questo senso.
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