La vicenda, inserita e analizzata nel più ampio contesto geopolitico regionale, assume una certa rilevanza; specialmente alla luce di una fondamentale premessa: la guerra civile siriana e la lotta a Daesh non possono essere affrontati su due diversi livelli o come fenomeni distinti. Le tensioni possono nascere tra le cancellerie che supportano l’uno o l’altro schieramento, minano ogni sforzo volto alla creazione di una grande ed eterogenea coalizione contro il Califfato.
Il nodo centrale resta chiaramente il futuro del presidente Bashar al-Assad.
Prima di arrivare al punto, si rendono necessarie tre considerazioni. In primis, i bombardamenti sulle postazioni dello Stato Islamico si sono rivelati poco incisivi, semplicemente perché strategicamente inadatti (specialmente nel lungo periodo). Inoltre, in Europa e non solo, permangono resistenze e dubbi circa l’opzione "boots on the ground", come dimostrato proprio dalla scelta di ricorrere ai bombardamenti aerei. Infine, togliere Assad dalla scacchiera significherebbe, in questo momento, portare alla creazione di un pericoloso vuoto di potere (data anche la frammentarietà dell’opposizione).
Per sconfiggere Daesh, quindi, si rendono necessarie azioni via terra ed è qui che deve entrare in gioco la Siria in quanto Stato. Damasco dovrebbe essere in prima linea e il resto di una “maxi-coalizione” dovrebbe agire in azioni di supporto, sia logistico che operativo. In tale ottica, Assad diventa un elemento imprescindibile per non trasformare la Siria in una mappa di Risiko e dovrebbe restare al potere in attesa di tempi più adatti a una negoziazione circa l’assetto interno del Paese.