La minaccia rappresentata dall’ISIL, al quale si sono uniti gruppi tribali sunniti, è quanto mai seria. Nel giro di un mese, le forze jihadiste hanno proclamato la nascita di un Califfato Islamico, reclamando il controllo di una vasta area che si estende dall’Iraq orientale alla provincia di Aleppo in Siria. Qualora l’ISIL riuscisse a consolidare o a estendere il proprio controllo territoriale, paesi confinanti come Iran, Giordania, Libano o Turchia potrebbero trovarsi ad affrontare direttamente le milizie del gruppo jihadista. Pur potendo escludere il rischio di un’immediata avanzata oltreconfine, la minaccia principale è rappresentata dalla possibile infiltrazione di cellule legate all’ISIL, senza contare potenziali legami con Al-Nusra e Al-Qaeda. Inoltre, l’offensiva del nuovo Califfato porta con sé il seme della guerra interconfessionale: l’appartenenza alla setta Sunnita dell’ISIL costituisce una seria minaccia per la popolazione sciita che, difatti, si è mobilitata in corpi volontari da affiancare alle forze governative.
Ci s’interroga ora su quale possa essere il destino del Paese. Media locali e stranieri vogliono le milizie dell’ISIL non lontane da Baghdad, l’esercito sta preparando la controffensiva su Mosul, mentre i Peshmerga curdi avrebbero sottratto all’ISIL la città di Kirkuk[1]. Nel frattempo, Russia, Stati Uniti e Iran inviano aiuti militari all’esercito iracheno. Sarà tutto ciò sufficiente a evitare la battaglia per Baghdad?
[1] Va precisato che la presenza delle forze curde non rappresenta una formale cooperazione/subordinazione militare nei confronti di Baghdad. La volontà curda resta tanto quella di ottenere la nascita di uno stato indipendente, quanto quella di difendere la propria regione dall’avanzata dell’ISIL. Non a caso, la speranza curda è quella di trovare la giusta legittimazione per la creazione un proprio stato. Inevitabili, però, sarebbero le tensioni regionali legate alla sua potenziale nascita.
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