In seguito ai raid, immediate sono state le reazioni, al momento solo verbali, del governo siriano e del Partito di Dio. Il ministro dell'Informazione Mahmud Al Zubi ha dichiarato che la Siria sarà pronta a considerare qualsiasi opzione in risposta alle incursioni aeree israeliane, più teatrale è stato il Vice Ministro degli Esteri Faisal al Medad che ha bollato l’operazione come una dichiarazione di guerra; infine, il Presidente Al-Assad ha descritto i bombardamenti come un attacco terroristico e ha dichiarato di possedere le necessarie risorse militari atte fronteggiare Israele in uno scontro diretto. Tempestive sono state anche le accuse degli Hezbollah i quali, attraverso le parole del Vice Segretario del Partito Naim Qassem, hanno interpretato l’attacco israeliano come parte di un complotto internazionale finalizzato a rovesciare il regime di Assad; sulla stessa linea è intervenuto il leader Nasrallah che ha sottolineato di non essere disposto a lasciar cadere la Siria «in mano a Israele, Stati Uniti e “takfiri”» (jihadisti sunniti in guerra aperta con i gruppi sciiti). Simultaneamente, non sono mancate le reazioni iraniane: mentre il portavoce del Ministero degli Esteri Ramin Mehmanparast ha espressamente condannato i raid aerei, il Comandante delle forze terrestri Ahmad Reza ha dichiarato d’esser pronto ad intervenire in aiuto della Siria qualora si trovasse in guerra contro il «regime sionista».
Al momento è difficile fare previsioni su quale piega possano prendere gli eventi. Anche se impegnata in una sanguinosa e logorante guerra civile, Damasco si dichiara pronta a reagire, potendo apparentemente contare sull’appoggio iraniano e del Partito di Dio. Per contro, nonostante sia stato riaperto al traffico civile lo spazio aereo prossimo alle Alture del Golan, Israele pare preparato a fronteggiare un’eventuale “offensiva” a nord mantenendo in stato d’allerta le divisioni presenti nell’area.
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