A quanto si apprende da fonti egiziane, la polizia avrebbe sparato direttamente sulla folla che teneva un sit-in nei pressi del Ponte 6 Ottobre, lasciando a terra almeno un centinaio di vittime. Secondo alcune nostre fonti, molti cittadini egiziani, vicini alla fratellanza ma residenti nelle aree rurali del Paese, riceverebbero dall'organizzazione circa 10 euro al giorno per recarsi nella capitale e unirsi ai manifestanti.
Le autorità egiziane hanno reso noto che Morsi è stato formalmente accusato di attività di spionaggio e cospirazione insieme al gruppo palestinese Hamas. Si tratta delle prime dichiarazioni ufficiali circa lo status giuridico del deposto presidente egiziano. Le accuse rivolte a Morsi si riferiscono anche ad un episodio avvenuto nel 2011, quando il carcere di Wadi el-Natroun, a nord del Cairo, fu attaccato da un commando che permise l'evasione di circa 30 esponenti della Fratellanza, tra cui Morsi. L'assalto, che aveva causato la morte di 14 guardie, è stato ritenuto organizzato dai Fratelli Musulmani con il sostegno di Hamas. Dal canto suo Hamas ha sempre negato qualsiasi coinvolgimento nell'attacco alla prigione e un portavoce del gruppo, Sami Abu Zuhri, ha affermato che l'accusa rivolta verso Morsi non è altro che una dimostrazione del fallimento del colpo di stato e l'ha classificata come un tentativo di trascinare Hamas nel conflitto egiziano.
La presa di potere di Morsi lo scorso anno aveva acceso grandi speranze tra i dirigenti di Hamas, che auspicavano un'apertura del valico di Rafah e quindi la fine dell'isolamento di Gaza. Eppure, nonostante i rapporti tra Egitto e Hamas siano decisamente migliorati rispetto agli anni di Mubarak, il governo Morsi stava imponendo ancora restrizioni riguardo le frontiera con Gaza. Secondo Abu Saada Mukhaimar, docente di scienze politiche all'Università di Al Azhar, Hamas sarebbe il più grande perdente dalla caduta di Morsi. Si teme per una radicalizzazione dello scontro al confine di Rafah, di fatto il nuovo governo egiziano sta incrementando i blocchi al confine con Gaza, provocando contrazioni dell'economia di Gaza e alimentando tensioni con i vertici di Hamas, che dipendo molto dal traffico di merci tra il Sinai e Gaza. Le autorità egiziane intanto fanno sapere che la chiusura del valico rientra in una serie di misure per contrastare la militanza jihadista nel Sinai, che dal 3 luglio ha subito un'escalation evidente.
Negli ultimi giorni si sta parlando di un presunto accordo segreto tra i Fratelli Musulmani e l'amministrazione Obama, secondo cui Morsi avrebbe ceduto 40% dei territori del Sinai ad Hamas in cambio di 8 miliardi di dollari, facilitando il cammino verso gli negoziati di pace tra israeliani e palestinesi. L'accordo, firmato da Morsi, il numero due della fratellanza Khairat el Shater e la guida suprema dei Fratelli Musulmani Muhammad Badie, sarebbe stato scoperto in seguito al colpo di stato militare. Secondo un ex-membro del governo Morsi, l'accordo avrebbe in qualche modo favorito Israele, Hamas, Fratelli Musulmani e lo stesso Obama. Il presidente Usa non ha negato di aver sostenuto finanziariamente l'ascesa al potere dei Fratelli Musulmani (si parla di circa 25 mld di dollari), potendo contare sul fatto che la vicinanza politica tra la fratellanza e Hamas avrebbe permesso un diminuzione di attacchi nei confronti di Israele. Fu la mediazione di Morsi a porre fine alle violenze tra Hamas e Israele nel novembre scorso, col plauso di parte della comunità internazionale.
L'accusa rivolta verso Morsi allora non arriva di certo inaspettata, anzi, conferma la posizione dell'esercito egiziano, che da sempre vede con antipatia Hamas. Per avvalorare la tesi del complotto tra Morsi e il gruppo palestinese e quindi di riflesso per legittimare la presa di potere da parte dell'esercito, la diffusione del presunto accordo segreto arriva puntuale. I prossimi mesi saranno ancora scossi da proteste e violenti repressioni, ma mentre le forze egiziane saranno concentrate a tamponare le manifestazioni a Il Cairo, nel Sinai la situazione potrebbe sfuggire ulteriormente dal controllo delle autorità egiziane. Nessuna pace a breve quindi, anzi si stanno presentando gli stessi ostacoli che seguirono la caduta di Mubarak. I prossimi appuntamenti, ossia il referendum costituzionale previsto per i prossimi quattro mesi, le elezioni parlamentari attese per l'inizio del 2014 e le successive elezioni presidenziali, con molta probabilità potranno subire dei ritardi proprio a causa dell'instabilità sociale che caratterizza il Paese.
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