Qualsiasi ipotesi di sviluppo dell’economia palestinese che prescinda da una eventuale revoca delle restrizioni imposte da Israele è fuori luogo così si è espresso il ministro palestinese per gli affari economici Jawad Naji ed ha aggiunto la “ Comunità internazionale deve intervenire su Israele al fine di permetterci di accedere alle nostre risorse naturali”. Israele dal canto suo teme che una eventuale recessione economica potrebbe provocare nuove violenze in Cisgiordania palestinesi impoveriti potrebbero scatenare rivolte contro l’occupazione. L’economia in Cisgiordania si è ridotta per la prima volta in un decennio nella prima metà del 2013, secondo un rapporto di questo mese della banca mondiale, che indica come causa principale i cordoli di contenimento israeliani che impediscono ai palestinesi l’accesso alle risorse naturali.
Le restrizioni di Israele influenzano gran parte della vita economica palestinese. Israele controlla ogni punto di accesso, sorvegliando tutte le importazioni ed esportazioni, creando inoltre ostacoli burocratici che soffocano e uccidono l’imprenditorialità. Gli israeliani impongono limiti severi anche all’approviggionamento idrico con ripercussioni sia in campo agricolo che industriale. Israele inoltre non ha permesso ai palestinesi l’accesso alla tecnologia mobile 3G lamentando preoccupazioni di sicurezza rendendo molte applicazioni smartphone in gran parte inutilizzabili.
Il rallentamento è evidente anche nella “benestante” Ramallah capitale amministrativa dell’Autorità Palestinese. Tutto è cominciato questa estate quando i militari egiziani hanno deposto il loro presidente, amico del gruppo di Hamas che gestisce la fascia costiera, ed hanno poi cominciato a demolire il 90% dei tunnel da cui il governo di Gaza ricava il 40-70% delle sue entrate. Con Israele che controlla il 60% del territorio della Cisgiordania, compresa la terra più fertile, l’Autorità Palestinese filo occidentale è cresciuta grazie agli aiuti stranieri, ma oggi i donatori si rifiutano di sovvenzionare ulteriormente l’economia palestinese se non vedono “un orizzonte politico” che possa dare fine al conflitto che ad oggi appare senza fine.
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