È quindi fisiologico che il paese si ponga nuovi interrogativi, soprattutto sull’opportunità di continuare a far parte di un progetto europeo che ormai sembra superato dagli eventi. I sentimenti popolari, di cui il governo deve tenere conto, sono oggi nella direzione di un forte distacco da un’entità politica in cui non si riconoscono, e che anzi oggi sentono ostile. Questi sentimenti non sono esclusivi dell’Italia ma sono condivisi con paesi come la Spagna che in passato sono stati protagonisti indiscussi dell’intero progetto europeo e oggi si sentono quasi estranei. Il mondo è cambiato dai tempi in cui l’Unione europea è stata ideata e costituita. In questo momento stiamo vivendo appieno l’era post ideologica che è caratterizzata dall’assenza di ideologie dominanti e contrapposte. Molti dei dogmi politici che erano nati e poi sviluppati durante il periodo post bellico (1945) sono oggi messi in fortissima discussione, interessati da una crisi di identità senza precedenti. Crisi che mette in rilievo uno scollamento tra quello che era il progetto o l’ideologia iniziale e l’incapacità di aggiornarsi e produrre delle condizioni socio economiche a passo con i tempi.
Lo scollamento tra le aspirazioni e la realtà dei fatti però è un fenomeno generalizzato che non riguarda solo le istituzioni ma anche i singoli individui. In particolare le giovani generazioni si trovano a dover affrontare uno scontro senza precedenti con la realtà, in cui giocano un ruolo di vittime/carnefici, incapaci di affrontare i sacrifici e le sfide che un domani incerto potrebbe riservare, e che anzi sta imponendo. Ne è un esempio lampante la scarsa adesione iniziale alle misure di restrizione imposte in Italia nella battaglia contro l’espandersi del contagio del coronavirus, in cui molti giovani non hanno accettato le limitazioni alla propria libertà di circolazione, sentendosi da un lato vittime del sistema e dall’altro strumento di contagio indiscriminato. In linea generale non si ha una consapevolezza, una coscienza dello stesso concetto di sacrificio. Possiamo solo immaginare l’impatto che questa lacuna può avere dal punto di vista politico e sociale. Un disastro sociale.
Passiamo ora ad analizzare quella che è la situazione dell’Italia in questo momento e possiamo spingerci oltre con un’analisi di lungo periodo. L’Italia è un paese perso. Ha perso in questi ultimi decenni gran parte della sua immagine del nerbo della sua creatività, e dimostra oggi tutte le sue debolezze intrinseche. È una nazione che non è riuscita a superare le sfide strutturali imposte dalla fine della seconda guerra mondiale, solo apparentemente è riuscita a conservare la sua politica di apertura verso tutti i paesi senza chiusure di sorta. È stata un’utopia che si è infranta contro i cambiamenti dei sistemi e delle linee politiche. Una sequenza di governi frivoli e inadeguati, con a capo personalità di scarso livello hanno relegato l’Italia ad un ruolo subalterno e di scarsa rilevanza internazionale.
Con la mancanza di personalità è mancato un altro fattore base: il dogmatismo politico.
Una mancanza di regole di condotta che si è intensificata fisicamente con l’ultimo direttivo nazionale, che soprattutto nei suoi organi di rappresentanza politica internazionale ha mostrato tutti i suoi limiti. Possiamo citare alcuni esempi: la questione della Libia, in cui l’Italia da protagonista è passato ad essere una comparsa soppiantata dalla più scaltra diplomazia francese, russa e turca, che hanno investito nel paese del Nord Africa in vista di vantaggi economici che intaccano considerevolmente gli interessi italiani.
Un’altra partita si gioca in Europa, e in particolare con i rapporti che quest’ultima intrattiene con l’America di Trump. Più in particolare i rapporti che un fenomeno redivivo come le “estreme destre europee” si rapportano alle due potenze egemoni, gli USA e la Russia di Putin. È emblematico in questo caso che un movimento di destra come quello francese di Le Pen fosse incoraggiato dagli americani. Nei diversi paesi europei dove è risorta pseudo ideologia, esse sono state sostenute di volta in volta o dalla Russia o dall’America.
L’accesso al potere politico è una battaglia senza precedenti, in cui non sono ammesse alleanze ideologiche che sono desuete, e dove invece è incoraggiata la guerra economica contro il colosso emergente: la Cina. Quest’ultimo paese sta intensificando la propria presenza e influenza in molti paesi europei, la stessa Europa che gli americani considerano come una propria appendice, una succursale con cui dialogare per ambiti ristretti.
A questo proposito un errore del governo italiano è quello di considerare la Cina la panacea per i mali dell’economia nazionale. Non possiamo pensa che a lungo termine la concessione delle nostre infrastrutture ai gruppi finanziari cinesi possa rendere l’Italia indipendente e fiorente. Questo anche in considerazione del ruolo che l’Italia ha nel contesto del sistema occidentale legato agli Stati Uniti e soprattutto vista e considerata la silenziosa Guerra Economica che Tramp ha dichiarato al colosso orientale in particolare nel mercato delle tecnologie. Per questi motivi l’Italia non può pensare di uscire indenne dallo scontro “economico” tra i due protagonisti internazionali. Per cui veramente sembra utopistico e sconveniente portare avanti un progetto come quello del 5G o la concessione di importanti commesse e gestioni dei porti strategici di Trieste e Genova, che rientrano nel più generale progetto della Nuova Via della Seta.
È evidente che rompere con un modello economico e di alleanze come quello italiano non potrà non avere delle conseguenze negative. La posizione dell’Italia per ciò che riguarda l’industria pesante ed energetica è del resto ambivalente; da un lato nuovi accordi con la Cina e dall’altro accordi decennali con gli Usa. In L’Italia deve scegliere da che parte stare. Il paese deve riprendere il suo ruolo nel consesso internazionale, ma questa fase sarà propedeutica all’analisi dei propri errori facendo un’autocritica che possa però rappresentare il punto di inizio di una nuova era. È necessaria una scossa politica che sarà successiva alla scossa economica e sociale che è già in atto. È necessario rinsaldare il sentimento di unità nazionale che non prevede lo sfilacciamento e la divisione tra le diverse regioni italiane. Evidentemente tutti questi passaggi faranno da leva per un cambiamento sociale, un rinnovamento dei modi e dei metodi per la gestione del potere, una linea senza precedenti che potrebbe giovarsi della pregressa esperienza ripulita da anni di errori politici.