Inoltre, sembra esserci poca relazione tra ciò che le grandi potenze occidentali affermano come il loro obiettivo e l’entità reale del loro impegno in Siria. Una completa vittoria russo-siriana, e il disimpegno occidentale, renderà molto più difficile l’azione globale contro Daesh, in Siria e in tutta l’area. In effetti, se continueranno gli sforzi della Coalizione per contrastare Daesh, svilupparli nella Siria riunificata sotto il controllo di Damasco rappresenterebbe una grave battuta d’arresto o una impossibilità a procedere. Nonostante gli sforzi per evitare le operazioni militari statunitensi contro le unità russe, vi sarebbero maggiori possibilità di un nuovo scontro in Siria tra le forze “mercenarie” russe del Gruppo Wagner, le forze del FSB (Servizio Federale Russo – ex KGB) in cooperazione con il GRU (Forze Speciali russe – gli Specnaz) e le forze speciali statunitensi a sostegno dei curdi. Le forze e il popolo curdo sarebbero intrappolati tra forze russe, siriane e turche (sostenute, da mercenari reclutati tra gli ex terroristi dell’ISIS) e affronterebbero, un futuro molto incerto e con la chiara sensazione di essere stati traditi dagli Stati Uniti e dai suoi partner europei.
Geopoliticamente una vittoria russo-siriana segnerebbe l’effettiva fine della guerra civile siriana con una vittoria decisiva per Mosca e concederebbe alla Russia un importante vantaggio strategico. Non solo tutta la strategia “occidentale” sarebbe messa in un angolo, ma la base aerea militare della Russia a Latakia, a circa 55 km da Idlib, insieme alla base navale a Tartus sarebbero in sicurezza per anni e di conseguenza, le due basi consentirebbero ai russi di esercitare un’eccezionale influenza strategica nel Mediterraneo. In tale contesto, il piano di pace per il Medio Oriente del presidente Trump del gennaio 2020 sembra poco più che un tentativo di deviare le critiche per la mancanza di una leadership americana in Siria e per la Siria. La sua richiesta alla NATO di fare di più in Medio Oriente sembra poco più che uno sforzo per evidenziare la quasi totale mancanza di influenza dell’Europa su un conflitto sul fianco di maggiore importanza strategica. Il Presidente Putin, con una sola mossa, metterebbe in risalto il profondo divario che esiste tra americani ed europei e non solo sulla Siria (tra poco anche in Libia), con implicazioni profonde per la sicurezza e la difesa dell’Europa. Anche i problemi per la coesione europea sono si rilievo. Mentre Macron e Merkel hanno organizzato una riunione del Four Power con i presidenti Erdoğan e Putin che si terrà il 5 marzo, il ruolo e l’efficacia degli europei nel “fiasco” siriano sono stati senza spessore strategico. Il vertice si terrà sempre se ci sarà la partecipazione di tutti, partecipazione messa in dubbio dai russi in queste ultime ore.
Da notare che l’Italia è di nuovo fuori partita anche se il capo del governo ha appena incontrato il presidente francese. Semplicemente in Europa non c’è unità di sforzi e intenti. La Gran Bretagna, una delle maggiori potenze europee che ha firmato l’accordo nucleare ormai defunto con l’Iran, è completamente estromessa dall’ “asse” franco-tedesco.
L’Unione Europea e la sua struttura “buffa” di difesa non danno segni di vita. Troppo spesso i leader europei parlano di valori senza avere un’idea di come difenderli. È un fallimento per il quale purtroppo i cittadini europei pagheranno un prezzo elevato, in particolare se Francia e Germania, impegnate solo nel salvataggio strategico della faccia, falliranno nuovamente. Con quattro milioni di rifugiati probabilmente esclusi dal ritorno a casa in Siria, ci si aspetta che molti cercheranno rifugio in Europa. A questo punto Daesh potrebbe trovare nuova linfa vitale e noi, gli europei, diventeremo ancora più vulnerabili agli atti di terrorismo dei tagliagole sunniti. Infine, con il palese fallimento della politica europea nei confronti del Medio Oriente e del Nord Africa paesi o le fazioni in bilico cercheranno il supporto di Mosca. Per esempio questo avviene con il Generale Haftar in Libia e, non sia mai, anche Teheran potrebbe essere maggiormente incoraggiata a guardare all’amicizia con la Russia dopo la positiva neutralizzazione del suo direttore strategico.
Alcuni analisti considerano che la perdita di Idlib renderebbe una guerra totale mediorientale ancora più probabile di quanto non fosse prima dell’attacco russo-siriano. A parere di molti l’attenzione immediata, quindi, deve essere indirizzata alla riduzione della sofferenza umanitaria.
Nel medio e lungo termine è nell’interesse sia degli americani sia di tutti i paesi europei lavorare insieme per mitigare il danno strategico e politico causato da questa sconfitta, soprattutto, per quello che è, per la loro influenza nella regione, per la NATO e per Sicurezza europea. Perché ciò accada, la politica su entrambe le sponde dell’Atlantico dovrà studiare una strategia comune perché, in maggior misura per i paesi UE ciò che sta accadendo in Idlib è anche sintomatico di un ritiro strategico dagli eventi mondiali.
Per arginare la capacità strategica russa e la disonestà e il doppiogiochismo turco è assolutamente necessario un impegno massiccio, in una regione vitale per la sicurezza dell’Europa, e che potrebbe rivelarsi disastrosa per tutta l’UE con l’Italia in prima linea.
Giuseppe Morabito, NATO Defence College Foundation
Emanuela Locci, Università di Torino
Fonte: https://www.groi.eu/ALcFI