Quanto questo fattore possa, nei prossimi tempi, modificare gli equilibri di forza all’interno dello scenario comunitario è palese; ne derivano, pertanto, due spunti di riflessione: uno di natura economica e l’altro di carattere geopolitico.
Il primo, è che proprio questo “risveglio” delle economie danubiane graverà sui paesi del quadrante meridionale del continente europeo, fra cui la stessa Italia, che, in una prospettiva di generale rafforzamento del blocco orientale, si vedrà definitivamente esclusa da qualsiasi posizione decisionale, sicura nelle mani dell’asse franco– tedesco– danubiano.
L’Europa Centro–Orientale appare, infatti, sempre più destinata a giocare il ruolo di “terzo motore” dell’Unione, accanto a un ansimante sistema meridionale e all’ancora dominante modello occidentale, sempre più bisognoso, in ogni sua forma, della propria controparte orientale, pronta a ultimare quel risveglio strategico in atto da quasi dieci anni.
A questo dato, poi, si ricollega il versante geopolitico dell’intera faccenda: quella che un tempo veniva da molti identificata come “un’area ponte fra civiltà e degrado” ha ormai abbandonato l’immagine concettuale di “Terzo Mondo” in cui era spesso relegata da analisti e osservatori: paesi come Polonia e Ungheria, hanno definitivamente preso consapevolezza delle proprie capacità, compiendo scelte di politica estera, come la militarizzazione del Gruppo di Visegrád, che non sembrano affatto avventate, ma frutto di una riflessione strategica molto acuta.
Colonna portante di un simile ragionamento è il fatto che il destino dell’Europa Centro-Orientale possa non dipender più dalle istituzioni di Bruxelles, ma dalla volontà dei proprio governi.
Un’eventualità, questa, che di certo spaventa la Francia, la cui immagine è ormai in lento declino (persino Johannes Jooste, chief market strategist di Merrill Lynch, ha recentemente indicato il paese come «il malato d’Europa»), nonché la Germania che, non a caso, cerca di ricompattare l’area danubiana attorno al potere decisionale di Berlino.
Come più volte preannunciato, insomma, l’Europa sta lentamente scivolando verso est; un processo, questo, che può seriamente modificare rapporti di forza e assunzioni di responsabilità fuori e dentro l’Europarlamento, con buona pace di quei molti stati le cui fratture istituzionali (mai risolte) hanno indebolito le proprie capacità contrattuali.
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