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07-12-2013

L'Europa centro-orientale e il futuro della UE

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Mentre l’Europa continua a discutere di austerità, populismo e deficit, fra i ventotto membri dell’Unione, ci sono alcuni paesi che, silenziosamente, potrebbero sorprenderci tutti; Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca, infatti, sono quattro nazioni che, nonostante l’attuale crisi economica costringa molti governi a rivedere i propri bilanci, continuano a raccogliere successi non solo economici, ma anche politici. 

Non è un caso, dunque, se alcune fra le più grande industrie del mondo, come Audi, IBM o Mercedes-Benz abbiano deciso di aprire proprie filiali produttive nell’area che, da Tychy, giunge sino a Budapest.

Quanto questo fattore possa, nei prossimi tempi, modificare gli equilibri di forza all’interno dello scenario comunitario è palese; ne derivano, pertanto, due spunti di riflessione: uno di natura economica e l’altro di carattere geopolitico.

Il primo, è che proprio questo “risveglio” delle economie danubiane graverà sui paesi del quadrante meridionale del continente europeo, fra cui la stessa Italia, che, in una prospettiva di generale rafforzamento del blocco orientale, si vedrà definitivamente esclusa da qualsiasi posizione decisionale, sicura nelle mani dell’asse franco– tedesco– danubiano.

L’Europa Centro–Orientale appare, infatti, sempre più destinata a giocare il ruolo di “terzo motore” dell’Unione, accanto a un ansimante sistema meridionale e all’ancora dominante modello occidentale, sempre più bisognoso, in ogni sua forma, della propria controparte orientale, pronta a ultimare quel risveglio strategico in atto da quasi dieci anni.

A questo dato, poi, si ricollega il versante geopolitico dell’intera faccenda: quella che un tempo veniva da molti identificata come “un’area ponte fra civiltà e degrado” ha ormai abbandonato l’immagine concettuale di “Terzo Mondo” in cui era spesso relegata da analisti e osservatori: paesi come Polonia e Ungheria, hanno definitivamente preso consapevolezza delle proprie capacità, compiendo scelte di politica estera, come la militarizzazione del Gruppo di Visegrád, che non sembrano affatto avventate, ma frutto di una riflessione strategica molto acuta.    

Colonna portante di un simile ragionamento è il fatto che il destino dell’Europa Centro-Orientale possa non dipender più dalle istituzioni di Bruxelles, ma dalla volontà dei proprio governi.

Un’eventualità, questa, che di certo spaventa la Francia, la cui immagine è ormai in lento declino (persino Johannes Jooste, chief market strategist di Merrill Lynch, ha recentemente indicato il paese come «il malato d’Europa»), nonché la Germania che, non a caso, cerca di ricompattare l’area danubiana attorno al potere decisionale di Berlino.

Come più volte preannunciato, insomma, l’Europa sta lentamente scivolando verso est; un processo, questo, che può seriamente modificare rapporti di forza e assunzioni di responsabilità fuori e dentro l’Europarlamento, con buona pace di quei molti stati le cui fratture istituzionali (mai risolte) hanno indebolito le proprie capacità contrattuali. 

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Stefano Ricci

Dottore magistrale in Scienza della Politica presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove si è laureato con una tesi in Teoria Politica avente come oggetto di studio l’analisi delle teorie del potere nell’epoca contemporanea, la loro messa in discussione e la proposizione di nuovi paradigmi politologici.

Specializzato in terrorismo e controterrorismo, con diverse qualifiche all’attivo, sta attualmente completando un Master di II livello in Geopolitica e sicurezza globale, organizzato dall’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Analista geopolitico, già collaboratore dell’ISTRID - Istituto Studi Ricerche Informazioni Difesa e di diverse testate giornalistiche d’approfondimento geopolitico, segue con particolare interesse le vicende del quadrante centro – orientale europeo, le questioni legate al terrorismo e all’eversione, nonché l’ascesa, specialmente in Europa, dei nuovi nazionalismi. 

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