I negoziati in corso in Kuwait e sostenuti dalle Nazioni Unite sono stati sospesi al termine di giugno in occasione della 'Id al Fitr. I colloqui sono ripresi il 16 luglio, dopo un breve ritardo dovuto alla richiesta da parte del governo yemenita di assicurazioni dalle Nazioni Unite circa un'agenda di negoziati programmata.
Since 2012, the US and its allies have many a time attempted to build a military power capable of holding its own in Syria. The last attempt, the “New Syrian Army” was a failure, as it was unable to liberate the area near Al Bukamal, in eastern Syria near the borders with Iraq, from Daesh. However, the failed mission might be the last concrete chance for the Obama administration to create a strong ally on the ground in Syria.
Il conflitto in corso in Yemen non appare in via di conclusione. Nonostante i lenti progressi sul piano dei negoziati, si registrano continui scontri in larghe aree del Paese, specialmente nelle province di Marib, Jawf, Shabwa, Sanaa, Amran, Taiz, Lahj e al-Dhalea. Il raggiungimento di un accordo per il "cessate il fuoco" il 10 aprile scorso non ha prodotto risultati sostanziali, dal momento che i violenti combattimenti in corso dimostrano l'intento delle parti di proseguire nel conflitto. Occorre inoltre sottolineare che molto spesso le violenze sono il risultato di dinamiche locali altamente complesse, sulle quali i leader politici nazionali non hanno possibilità di controllo. È altamente improbabile che possano verificarsi sostanziali perdite di territorio da parte delle forze in campo nel breve termine, è opportuno infatti evidenziare che nonostante si stia registrando una lieve perdita di controllo del territorio da parte degli Houthi, è da ritenere poco probabile un collasso generale della loro struttura militare. Gli Houthi hanno dimostrato ottime capacità operative, specie in operazioni di guerriglia. Inoltre, il gruppo sciita è riuscito a canalizzare il forte risentimento popolare nei confronti della coalizione a guida Saudita, dando vita ad alleanze strategiche tra i diversi gruppi presenti nel Paese.
Sul piano dei negoziati persistono grandi divergenze tra gli esponenti Houthi e membri del governo Hadi, tuttavia le parti sembrano insistere sulla possibilità di raggiungere un accordo duraturo per il futuro dello Yemen. Nel marzo scorso una delegazione di Houthi ha visitato l'Arabia Saudita ottenendo un accordo sulla stabilizzazione dei confini, inoltre nei primi giorni di giugno il portavoce Houthi Mohammed Abd al-Salaam ha effettuato un altro viaggio in Arabia Saudita; oggetto dei numerosi colloqui tra Abd al-Salaam e i funzionari sauditi è stato il negoziato di pace in corso in Kuwait iniziato il 21 aprile scorso. In verità i colloqui di pace sono fortemente ostacolati dalle volontà delle parti, al momento molto distanti. Nonostante ci sia comune desiderio di porre fine al conflitto, permane un forte disaccordo sulla futura struttura politica del Paese. Entrambi le parti in causa desiderano mantenere una posizione di forza nel post-conflict, il che mina pesantemente su una risoluzione a breve del conflitto. In questo scenario gli esponenti Houthi, con il sostegno dell'ex-presidente Ali Abdullah Saleh, stanno richiedendo la formazione di un governo di transizione, ipotesi però che non convince i membri del governo Hadi, i funzionari sauditi e gli Emirati Arabi: Hadi intende giungere ad un accordo conclusivo che vede l'estromissione degli Houthi da qualsiasi carica governativa e lo smantellamento del loro intero apparato militare. Forti interessi internazionali si stanno ripercuotendo sull'attuale situazione nello Yemen, si assiste ancora allo scontro indiretto tra il regno Saudita, sunnita, e la Repubblica Islamica dell'Iran, sciita. L'Arabia Saudita vede l'avanzata degli Houthi come un tentativo di accerchiamento da parte dell'Iran, mentre Teheran interpreta l'intervento di Riyadh come un'ingerenza illegittima contro la sovranità yemenita. Nonostante le scarse capacità economiche dello Yemen, questo rappresenta un hub strategico estremamente prezioso. Il Golfo di Aden è attraversato da oltre 20.000 navi annualmente, con un traffico di circa 3 milioni di barili di petrolio al giorno.
Con l'ingresso delle forze internazionali nella disputa yemenita, il conflitto ha gradualmente perso il carattere settario e politico locale, per sostanziarsi come un conflitto dal forte impatto regionale, fondamentale per gli equilibri dell'aerea. L'intervento armato della coalizione non sta portando gli effetti sperati dai sauditi, sta anzi deteriorando ulteriormente la situazione, con un forte incremento di armi sul territorio, numerosi vittime tra la popolazione civile e vaste aree totalmente fuori controllo andate nelle mani delle organizzazioni terroristiche islamiste. Gli Stati Uniti inoltre persistono nelle attività di antiterrorismo con l'uso di droni contro postazioni di AQAP.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Sul fronte interno si registra un significativo cambio di passo dal punto di vista politico, il ministro dei trasporti Binali Yildirim è stato nominato Primo Ministro turco dall'AKP, il partito di governo. Yildirim succede a Ahmet Davutoglu e rappresenta un elemento di stabilità per l'esecutivo di Ankara, si tratta infatti di un esponente molto vicino alle posizioni politiche del presidente Erdogan. La nomina di Yildirim rafforzerà quindi la posizione di Erdogan, minacciata dalle continue tensioni con il Primo Ministro uscente Davutoglu. Molto probabilmente si assisterà ad un riavvicinamento tra la leadership dell'AKP e il presidente, offrendo un'immagine di unità e sintonia tra le due entità.
La scelta di Yildirim, fedelissimo di Erdogan, è frutto sia della volontà della presidenza che della larga maggioranza dei membri dell'AKP, requisito ritenuto indiscutibile dal partito per la nomina di un nuovo primo ministro; la nomina di Yildirim inoltre contribuirà a togliere voce agli esponenti del partito più critici alla linea politica promossa da Erdogan. Yildirim, come già anticipato da lui stesso, si impegnerà nel breve termine per introdurre un sistema presidenziale tramite la modifica della costituzione turca, che sarà presentata al parlamento entro metà luglio. Sul fronte estero pesano le tensioni con l'UE, specialmente circa la questione dei migranti. Bruxelles chiede ad Ankara di rivedere le leggi che riguardano il reato di terrorismo come condizione per ottenere l'esenzione del regime dei visti nell'area Shengen per i cittadini turchi, ipotesi rifiutata categoricamente da Erdogan. Ankara però minaccia Bruxelles di non impedire più il passaggio in Europa di oltre 3 milioni di migranti, attualmente in Turchia; questa mossa di fatto potrebbe costringere i paesi europei a cedere su alcune tematiche. Il flusso commerciale tra la Turchia e l'UE ammonta a circa 140 miliardi di euro, in più oltre il 65% degli in-vestimenti in Turchia provengono da paesi europei: questi dati suggeriscono che Ankara non interromperà il processo di adesione all'UE, nonostante continue fasi di stallo e momenti di forte tensione con Bruxelles. Il premier Yildirim si è detto convinto a incrementare il numero dei paesi alleati e di ricostruire proficue relazioni diplomatiche, tuttavia la linea portata avanti da Erdogan lascia presupporre che la Turchia non giungerà a distensioni significative in politica estera nel breve termine; il caso più evidente è quello dei rapporti con Mosca, i due paesi stentano infatti a ristabilire relazioni costruttive.
Dal punto di vista della sicurezza interna e regionale la Turchia mantiene una posizione di rilievo. Nei primi giorni di giungo il governo ha annunciato il termine delle operazioni antiterrorismo nei confronti dei combattenti del PKK nelle città di Nusaybin, nella provincia di Mardin, e nella provincia di Sirnak. Le attività di re-pressione hanno portato alla morte di circa 1000 combattenti curdi da metà marzo, le tensioni tra governo e PKK erano aumentate notevolmente nel luglio 2015, con la fine del cessate il fuoco tra le parti. Ankara è estremamente preoccupata dal sostegno offerto dalle forze USA ai combattenti delle Unità di Mobilitazione Popolare Curde (YPG) che operano in Siria, impegnate a prendere il controllo della città di Manbij e dell'intero territorio compreso fino al confine con la Turchia; Ankara teme poi la creazione di una regione autonoma curda che attraversa Siria, Turchia, Iraq e Iran, in grado di rilanciare la posizione del PKK.
Non cessano poi gli attentati nelle principali città turche. Da luglio 2015 sono oltre 200 le vittime di attacchi terroristici in territorio turco, compreso l'ultimo avvenuto il 7 giungo contro un bus della polizia, target preferito dagli attentatori negli ultimi mesi. Il governo punta il dito contro il PKK, trovando così il pretesto per insistere nelle operazioni di repressione nel sud-est del Paese.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Alla luce degli eventi che hanno caratterizzato l'Europa nelle ultime settimane, occorre individuare connessioni tra l'evolversi della situazione siriana e irachena con le iniziative intraprese dal governo turco. Negli ultimi mesi Erdogan ha promosso politiche estremamente repressive nei confronti di stampa, opposizione, dissidenti interni al partito di governo, ma soprattutto sta conducendo una campagna di raid con F-16 e F-4 contro le postazioni di combattenti del PKK nelle aree a nord dell'Iraq (Zap) e nella Turchia sud-orientale.
Since the first intervention of the Russian military in Syria, the battle against Daesh had turned to a new breadth. The terrorist group started to broaden its target map, trying to prove its capacity to rule everywhere.
Hanno scelto Bruxelles perché è il simbolo dell'Europa che ha rinunciato ai suoi valori per una pace mai arrivata. Hanno scelto Bruxelles perché in Belgio i Jahidisti sono stati per anni tollerati fino ad avere una vera e propria egemonia etnica.
A political solution for Syria seems to be top priority for both Moscow and Washington. To achieve it, Russia and the US supported two important decisions: “To stop financing terrorism” and “to impose a political settlement”.
In the Middle East, people are used to seeing the US president in his last months in office attempt to relaunch the Israeli-Palestinian peace process. This seems to be the case with President Barack Obama who, according to Wall Street Journal, will try to follow the path of his predecessors by trying to revive the peace talk during the final months of his presidency.
The ceasefire agreement in Syria was imposed by a UN resolution in order to make a political settlement in Syria possible. The ceasefire will help restructure the status of various fighting groups and hopefully will put an end to the chaotic supply of weapons.