Due caccia italiani AMX basati nell’aeroporto militare di Herat hanno distrutto il 19 maggio scorso un potente ripetitore per comunicazioni radio, posizionato dai talebani nelle alture del distretto di Bakwa.
Il ripetitore era stato localizzato con esattezza dall’intelligence del “ Regular Command West “ e dalle immagini ad alta definizione acquisite dai “ Predator B “ veicoli a pilotaggio remoto.
Il più popoloso tra i paesi arabi, l’Egitto entra nel nuovo anno il 2014 con le più profonde divisioni in ambito sociale e con il più grande spargimento di sangue che si siano mai verificati durante la sua storia moderna.
L’Egitto non è nuovo a “violenze civili” ha infatti subito violenze per decenni una su tutte l’assassinio di Anwar Sadat da parte di un islamista nel 1981, gli attacchi contro siti turistici del 1990, oggi forse nuovamente a rischio.
Che distruggere l'arsenale chimico siriano fosse una missione complessa non è mai stato messo in dubbio ma, al momento, la situazione s'è fatta più complicata del previsto. I primi problemi sono emersi nel mese di dicembre quando l'OPAC si affannò nel cercare un modo di distruggere parte del suddetto arsenale e nessuno stato o ente privato volle farsi carico dell'onere; così l'OPAC è stata costretta a risolvere la "crisi" riesumando un'opzione precedentemente accantonata: distruggere il materiale chimico in acque internazionali a più riprese. Un secondo grande problema è emerso sul finire del 2013 sconvolgendo la tabella di marcia che l'Organizzazione si era prefissata: secondo i piani approvati nei mesi precedenti, entro il 31 dicembre 2013 gli elementi chimici più pericolosi avrebbero dovuto lasciare la Siria, tuttavia qui hanno fallito a causa delle cattive condizioni climatiche e dei continui scontri tra le truppe di Assad e i gruppi ribelli nel quadro di una interminabile guerra civile. Ora la macchina si è rimessa in moto ma i presupposti non sono dei migliori.
Dopo dieci anni, un aereo di Stato italiano è atterrato a Tehran con a bordo il ministro degli Esteri Emma Bonino che ha deciso di andare a parlare di persona con il nuovo corpo dirigente iraniano e dunque con il presidente Hassan Rohani e il ministro degli Esteri Mohammad Zarif. I diplomatici italiani che accompagnano la Bonino, hanno commentato il viaggio dicendo che “anni di sanzioni economiche dell'Onu, degli Stati Uniti e dell'Unione Europea hanno messo in crisi il sistema economico iraniano. Ma la vera botta gliel'ha data la politica economica di Ahmadinejad, che ha minato il paese quasi più delle sanzioni”.
Dopo la storica telefonata tra Obama e il Presidente della Repubblica Islamica dell’Iran Rohani, gli Stati che seguivano le trattive diplomatiche con Teheran, quindi gli Stati Uniti, la Francia, l’Inghilterra, la Russia, la Cina e la Germania (P5+1) e l’Iran hanno raggiunto finalmente un accordo sul programma nucleare della Repubblica islamica.
In Siria, il processo di smantellamento dell'arsenale chimico siriano si è svolto, a oggi, senza intoppi. La prima fase è terminata con successo il 21 settembre scorso quando il regime consegnò all'OPAC (Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche) l'inventario del proprio armamentario. La seconda fase, quella relativa la sua verifica, distruzione e disattivazione è ora entrata nel vivo, ma con una grande incognita. L’OPAC ha annunciato che le attrezzature per la produzione di armamenti chimici sono state distrutte e che tutto l’arsenale di cui il regime ha dato comunicazione – che secondo il portavoce dell'organizzazione Christian Chartier ammonta a «1000 tonnellate di agenti chimici utilizzabili per preparare armi, e 290 tonnellate di armi chimiche» già pronte – è stato sigillato dagli ispettori; tuttavia non è per nulla chiaro dove quest’arsenale potrà essere distrutto.
Il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif ha annunciato la fine dei negoziati, durati quattro giorni a Ginevra, tra la Repubblica Islamica e le potenze del gruppo 5+1 (Usa, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia e Germania) sul nucleare iraniano con la frase «Abbiamo raggiunto un accordo». Barack Obama ha commentato a caldo che in un clima di tensione “Si tratta di un primo importante passo verso un accordo generale: oggi la diplomazia ha aperto una nuova strada per rendere più sicuro il mondo” e ha poi chiesto ufficialmente, in diretta tv, al Congresso degli Stati Uniti di non imporre nuove sanzioni contro Tehran perché “potrebbero far saltare questa intesa”. Il presidente iraniano Hassan Rohani ha affermato tramite Twitter che “il voto del popolo iraniano per la moderazione e l’impegno costruttivo e gli instancabili sforzi da parte dei team negoziali apriranno nuovi orizzonti”.
L’Egitto sta utilizzando miliardi di dollari inviati dagli Stati Arabi del Golfo suoi alleati al fine di cercare di stimolare l’economia oltre che per cercare di mantenere le sue strade relativamente “calme”, nella speranza che gli investitori e i turisti possano al più presto tornare.
L’Egitto ha un deficit di bilancio enorme, una moneta sopravvalutata e una economia in crisi profonda.
Mentre la comunità internazionale cerca di risolvere la questione della proliferazione nucleare, non si placano le tensioni tra Iran e Israele: il primo ministro Benyamin Netanyahu la scorsa domenica ha intensificato la sua campagna anti-iraniana chiamando i tentativi di accordo con la Repubblica Islamica “un oltremisura pessimo affare” e affermando che “sarebbe un grosso errore dotare il più pericoloso regime del 21esimo secolo della più pericolosa arma esistente, dato che l’accordo lascerebbe l’Iran con diciottomila centrifughe in gradi di arricchire l’uranio e di sicuro l’Iran non ne smantentellerà neppure una.” Ha poi concluso aggiungendo “noi, popolo ebraico, siamo qui da quattromila anni non permetteremo che gli ayatollah ci minaccino con armi nucleari”.
L’economia di Gaza sta crollando, contemporaneamente alla demolizione da parte dell’Egitto dei tunnel di contrabbando lungo il confine di sabbia che separa le due aree, alle demolizioni dei tunnel si aggiunge la fuga degli investitori e donatori che scappano da una zona di conflitto. L’economia palestinese potrebbe ridursi notevolmente quest’anno dopo una crescita media annua di circa il 9% durante il quadriennio 2008-2011.